Quella che leggi qui sotto è una chiacchierata con Claudio Coccoluto tratta da “Faccio After“, l’ebook benefico a favore dei troppi dj in difficoltà che ho pubblicato nella primavera 2020. Claudio era dannatamente generoso, per cui forse gli farà piacere. A me, più che altro, sembra che le sue parole, come sempre, abbiano senso.
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Lorenzo Tiezzi
Grazie Claudio.
Siamo d’accordo più o meno su tutta la sostanza (compresa la politica). Soprattutto, ci accomunano l’amore e la pratica quotidiana della musica. Per questo, ci dividiamo spesso su tutto il resto, perché entrambi amiamo la polemica quando è costruttiva. Ricordo bene la prima volta che lo chiamai, il numero me lo dette Media Records per cui lavoravo. Ero un po’ preoccupato, perché il nostro settore sembra sempre popolato da premi Nobel, pensatori, geni e non da perdigiorno matricolati quali siamo.
Mi sembrò da subito di stare parlando con mio zio, anzi con un amico, non con una leggenda del clubbing. Perché anche in questo senso Claudio è un vero dj: sta bene con le persone. Il numero di telefono da allora (parliamo del 2000) credo l’abbia cambiato solo una volta, segno che ha voglia di farsi trovare. Molti scambiano il suo amore per il vinile per una fede assoluta ed esclusiva. Non è così.
Claudio dice: io sono il vinile, non posso essere altro che una vestale della musica, a ognuno il suo ruolo. Sembra scorbutico ma è il contrario. E’ un generoso: ricorderò per sempre la sua presenza in tv a difendere il Bolgia di Bergamo dopo la tragica morte di un ragazzo, la sua presenza a Sanremo come giudice.
Come molti dj è anche sempre o quasi in ritardo. Solo che lui lo dice apertamente e non fa finta di non esserlo. Dice di non leggere molto (poi però viene fuori che ha letto tutti i romanzi di Umberto Eco) e sui social ci sa stare. Comunica e provoca, a modo suo, sempre. Oltre che dj e produttore, è anche socio del Goa di Roma, uno dei più importanti club italiani.
Ti consideri un intellettuale? Secondo me lo sei.
“No. Mi considero un pensante. Non è che legga poi molto. Leggo giornali, notiziari, blog. Sul libro ho un po’ di resistenza. Vado a fissazioni, come con Umberto Eco o Michael Crichton. E mi sono letto per tre volte ‘Come funziona la musica’ di David Byrne. Sono certo l’avrai letto anche tu, un testo fondamentale. Se non l’hai letto ti tolgo il saluto…”
No, non l’ho letto, ma ti giuro che appena finisco ‘sto libro, che sto ribattezzando la Bibbia di LT me lo leggo! Venendo a noi, ti considero una persona molto generosa, sempre pronta a battersi per la musica. A volte un sei un po’ scontroso, ma sempre per difendere la musica… (NDR, non l’ho ancora letto e ho iniziato a scrivere un altro libro)
“Non sono onnivoro musicalmente. La musica brutta non riesco ad assimilarla, mi fa stare male. Però mi sforzo di capire. Non mando tutto subito in cassazione, do tre gradi di giudizio e poi decido. Ogni volta che ascolto un brano penso sempre: ma di questo pezzo tra vent’anni cosa rimarrà?”
Io invece mi chiedo se funziona o non funziona, da discografico, ed è un ragionamento che mi dà spesso delle delusioni…
“C’è un problema, e David Byrne lo scrive, di contestualizzazione della musica. Il luogo in cui accade, come e quando… ma c’è anche qualcosa di assoluto, che prevarica tutto. E quando succede, quel brano è magia. Se io ti dico Matia Bazar, ‘Vacanze Romane’, ti si apre un mondo anche oggi”.
Eh si. Anche ‘Ti Sento’, che è più dance, avrà valore anche domani.
“Una volta quel pezzo lo misi nel bel mezzo di una serata, ma ero solo il ‘secondo dj’, non ero la star, quindi in teoria non avrei dovuto prendere iniziative”.
Invece è giusto. Quando si può bisogna rischiare e un dj spesso può farlo. Oggi lo si fa sempre meno e ci si annoia.
“Ho una mia teoria. Il problema non è la musica e non sono i dj. E’ colpa della struttura del divertimento ‘del sabato sera classico’ che non regge con i tempi. Al Goa ci difendiamo, perché è una discoteca, ma facciamo anche piccole iniziative culturali al pomeriggio e questo dà un allure culturale. E’ quello che manca, perché la discoteca deve essere cultura almeno quanto il cinema”.
Boh, il cinema sempre cultura a me non sembra proprio…
“E’ vero, ma paga molte meno tasse, perché così è considerato cultura. Tutto quanto il cinema. Il Mibact e i ministri mai e poi mai ci hanno citato, manco in questo periodo terribile. Però Franceschini ha parlato dei giostrai, a cui ha dedicato 5 milioni di euro. Loro non devono rimanere indietro, le disco si. Perché noi siamo quelli dei problemi, quelli che traviano i giovani. Urge una organizzazione con statuto etico e tante iniziative simili.”
La figura del dj ormai è conosciuta. Non riesco a capire perché la selezione musicale che i dj fanno non possa avere un valore artistico.
“Non è la figura del dj in quanto tale che è importante. Caratterizza però un tipo di esperienza, tra club e festival. Mi spiego: non avrebbero senso i festival senza dj. Intorno a tutto questo devono esserci dei valori, una imprenditoria vera. Nel 1991 feci un dj set in Francia e staccai la fattura al Ministero della cultura francese. Nel 1991! Dobbiamo ripartire, dopo questo stop forzato, con un’altra marcia e portare a bordo solo persone sane. Per troppo tempo abbiamo dato le chiavi dei locali alle agenzie di booking, lasciandogli la direzione artistica. Non possiamo continuare così”.
Per me tu rappresenti un tipo di dj che riesce a far ballare e divertire ed è ovviamente ‘un gran figo’, ma non è l’unica cosa importante della serata.
“Il vero rito deve essere il party. La stessa importanza che ha il dj deve averla anche il singolo partecipante. Il dj set perfetto è multivettoriale, è circolare. Non c’è un flusso univoco di energia dal palco al pubblico come in un concerto rock. E’ come un puzzle, sei una cosa fondamentale, come dj nel party. Senza di te non si fa festa. Ma non sei una rockstar, che fa un ‘discorso unilaterale’. La rockstar ‘parla’, la gente al massimo batte le mani e fa la ola. Il dj invece se ne sta nel bel mezzo di uno spazio condiviso. Ha bisogno dell’energia anche dell’ultimo partecipante”.
In effetti anche la definizione tecnica rappresenta quello che stai dicendo: c’è lo spettacolo dal vivo, con il pubblico fermo e c’è il pubblico spettacolo, ovvero la discoteca, in cui il pubblico si muove a tempo. Molti giovani dj invece si arrabbiano se qualcuno in console viene a chiedergli un pezzo, il che è folle…
“Quando capita vuol dire che c’è partecipazione, va benissimo. Il dj in console va ridimensionato. E’ un artigiano, non un artista. Artista lo sei in studio di registrazione creando musica dal nulla. In console con le mani trasformi la musica per far ballare, ci metti la tua sensibilità. Riesci a recepire i segnali delle persone e li trasformi in energia per la pista. Tutto il resto non è fare il dj, anzi. Il dj nasce per ‘combattere e abbattere’ la rockstar, ma è diventato una sorta di surrogato. Cosa cavolo ci fa un dj su un palco di trenta metri? Per forza allora devi riempire poi lo show di effetti speciali, luci, co2, video… Devi riempire un vuoto artistico e creativo.”
Anche tuo figlio Gianmaria fa il dj, come Mattia, il figlio di Marco Trani e come i figli di Joe T Vannelli. In fondo in tante parti del mondo quella della musica è un mestiere che si passa di padre in figlio.
“Sono le buone tradizioni artigiane. Un ragazzo ha gli strumenti di lavoro sparsi per casa, per cui il rapporto con la musica è confidenziale da subito. Ho visto mio figlio passare da una generica curiosità ad una frenesia in cui mi sono riconosciuto. E’ successo tutto con gradualità, pian piano. Prima ascoltava certe cose, poi mi è venuto a chiedere di un disco, poi di un altro e via così. All’inizio per lui comunque non è stato facile.”
Me l’immagino, perché il cognome Coccoluto può pesare, se sei un giovane dj.
“Ho sempre faticosamente aspettato che fosse lui a chiedere. Mai mi sono permesso di entrare nella sua costruzione artistica. Spero di aver fatto bene. Qualcuno all’inizio parlava di ‘figlio di papà’ e simili banalità, ma Gianmaria si è liberato di questi problemi semplicemente suonando”.
E un ragazzo qualsiasi, che non è figlio di un dj o di un artista, cosa può fare?
“I consigli dati ai ragazzi sono perdite di tempo. Chiunque, a vent’anni, pensa di avere la soluzione a tutto e ha ragione. Solo chi ha dimenticato come ci si sente può mettersi a dare lezioni a quella sana arroganza… Il consiglio migliore te lo dà la vita quando sbagli. Le carriere di chi non sbaglia all’inizio poi spesso finiscono per un fuscello”.
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