E’ un periodo di musica usa e getta. Soprattutto in ambito dance. E’ questo quel che ci racconta, come sempre con esempi precisi e cognizione di causa, Riccardo Sada nella sua rubrica Sada Says.
Negli ultimi anni, la scena EDM (electronic dance music) ha accusato un calo di popolarità nel mondo e soprattutto negli Stati Uniti. Fino al 2015 aveva raggiunto l’apice della sua popolarità con artisti e dj che poi uno si ritrova nella classifica di Forbes e che dominavano le classifiche facendo sold out nei festival di musica elettronica.
Negli anni successivi però il trend ha cominciato a perdere terreno e si è affievolito. Ci sono diverse ragioni per questo calo. In primo luogo, l’EDM era diventata così popolare che era assurta a mainstream, tanto chr le persone hanno cominciato a cercare e trovare conforto in nuovi suoni e tendenze musicali. Molte delle canzoni hanno poi cominciato a suonare in modo simile, con le stesse formule, la stessa struttura, gli stessi suoni, addirittura le stesse voci, portando a una certa saturazione del comparto.
Inoltre, alcuni artisti considerati top hanno iniziato a sperimentare altri generi musicali, abbandonando in parte le radici del suono big room da festival outdoor.
Skrillex lo ha fatti strano: si è allontanato dal mainstream a suo modo per lavorare su musica più sperimentale e alternativa. Ciò ha contribuito a creare una sorta di divario tra gli artisti pop e quelli più sperimentali e club oriented. L’EDM ha anche risentito di alcuni problemi di immagine. Alcuni esperti e critici hanno accusato il settore di essere troppo commerciale, superficiale e privo di richiami onesti, organici. Queste critiche hanno influenzato l’opinione pubblica contribuendo alla sua diminuzione in fatto di popolarità. Nonostante il calo, l’EDM si è creata una nicchia. Chi frequenta i festival ha l’occasione di ascoltare dj che, sì, spaziano in tanti stili e sottostili ma che poi si soffermano su un suono che ci rimanda dritti dritti alla seconda decade del nuovo millennio. Ci sono dj che proseguono ad avere un seguito di fedele e ci sono ancora diversi festival negli Stati Uniti che attirano migliaia di fan ogni anno. Ma stanno cambiando pelle.
Gli Stati Uniti sono spesso sotto scacco dei trend, elaborati e provenienti da nazioni minori. Puntano spesso su musica usa e getta (…)
E fluttuano in una fase di transizione. Gli europei sono stati molto, molto fortunati ad avere una scena che è cresciuta ed evoluta continuamente a partire dagli anni ’80, è vero. L’America tutta è messa un po’ diversamente come condizione culturale a livello di elettronica, però, per ironia della sorte, tutto è iniziato negli Stati Uniti. Ed in un certo senso è morto anche lì, negli Stati Uniti. Dall’esplosione di inizio degli anni 2010, la moda, i promoter, il modo in cui le persone parlano e vivono le esperienze è cambiato.
I set dei dj a festival come Coachella o Burning Man sono stati chiari indicatori di questa intensa evoluzione. Lo spettacolo è nuovi contesti sono stati un momento di riflessione per comprendere su dove stessero andando i suoni vecchi, contemporanei e nuovi.
Vero anche che agli americani piacciono le cose fatte in grande. Non ci si deve vergognare troppo o avere troppa paura della teatralità della musica. In fondo stiamo parlando della terra di Hollywood, di Broadway e di tutto quanto fa spettacolo.
Scendiamo nel tecnico. Nella produzione. I dj stanno cercando di educare il pubblico statunitense, come se ci fosse una sorta di diffusione di formazione e informazione più che di credo e brani fini a se stessi. Quasi delle lezioni di musica elettronica impartite involontariamente dj set dopo dj set, quasi a educare il pubblico a nuovi groove, nuovi suoni e nuovi generi. L’agorà attorno alla filosofia e al compromesso della casa e del basso, come dire: cara nazione, non esiste solo il vibe urban e il blue grass, c’è la politica della cassa in quattro quarti.
Steve Angello disse anni fa: “Se riesci a mettere la cassa e il basso giusti sulla traccia, hai fatto l’80% del lavoro”. E non aveva e non ha tutti i torti. Ci si distingue così dalla folla, andando dritti con un loop, lo si è visto nella tech-house e lo si è notato più volte attraverso la techno.
Però la differenza la fai in un altro modo. Esasperando e forzando con la tecnologia e identificando e personalizzando ciò che rende diversi, riconoscibili e unici. Altro che musica usa e getta…
Bisogna fare effetto sulle persone. E non è una cosa che si può pianificare a tavolino. Non è marketing. È l’esaltazione della sperimentazione. Il contrario esatto di quello che il mondo conservatore dell’EDM vorrebbe. Se ci si mimetizza e si suona come tutti gli altri, come ci si può distinguere? Distinguere per non estinguere.
(Riccardo Sada per Sada Says AllaDisco)
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