Hardcore: ritmo indiavolato, suono spregiudicato per il nuovo capitolo della saga Sada Says by Riccardo Sada x AllaDisco
(…) ritmo indiavolato, suono spregiudicato, avete letto bene…
Le stelle del firmamento erano quelle di Paul Elstak, Ruffneck, Dark Raver (uno che arrivava dall’hip-hop), Lenny Dee, Gizmo, Buzz Fuzz. Le etichette storiche sono ID&T, Rotterdam Records, Terror Traxx, Mokum e Ruffneck. I distributori? Uno solo: la Mid Town. E tra i negozi, Mid Town Store di Rotterdam in Buislaan. Tra le riviste, Strobe e l’olandese Tunder Magazine. Una curiosità: le rivalità calcistiche si riflettono sulla musica. I bpm variano da 140 a 200. Ecstasy ce n’è, come del resto in tutto il movimento techno. Deejay in gonnella? Lady Dana da Amsterdam, la Marusha della hardcore. Poi c’era un giro di marchi, nomi e cognomi da far accapponare la pelle: Bass-D & King Matthew Masters Of Hardcore, Inferno Records, Neophyte, Isaac, Rotterdam Terror Corps, capi dei Dark Twins, DJ Delirium l’americano che lavorava con la ID&T. E-rick & Tactic fautori di hit come “Meet her at the Thunderdome”, “All Fucked Up!”, “The Baddest Mothafuck” e “Fuck Everybody, Hardcore Lives!”; inoltre Gabba Front Berlin, da Berlino tanta gabber, hardcore, speedcore, noisecore; Rage Records dalla Australia è roba estrema; Rotterdam Termination Source, pionieri, quelli di “Poing”. Un elenco infinito di nomi e marchi hanno creato quella che è stata la storia e la costellazione della hardcore.
La storia inizia nel ’90, al Parkzicht… ritmo indiavolato Dj Rob aveva portato una batteria elettronica Tr-909 della Roland e la suonava o modo suo, un po’ in distorsione, forse troppo in distorsione, tanto da inventare un genere più che diramare uno stile.
Poi Rob ha iniziato ad aumentare i bpm. La velocità ha dato un’identità al sound generando la hardcore. Fondamentale. È l’unico genere oggi ad avere precise caratteristiche. Dicono sia degenerata. Certo è diventata terror (250 bpm), speedcore (la speedcore sta all’hardcore come il trash ai Black Sabbath). La hardocore è successivamente diventata molto… trance. “Gabber è una parola olandese e significa amico. Quelli di Rotterdam che andavano al Parkzicht erano i gabber, solo lì c’era questa musica e questo look: tute Australian, Nike Air Classic, le ragazze con la coda. C’è un passo che si balla da molleggiati, innaturale. La Svizzera poi ha contaminato l’Italia con le sue manie, nella moda”, raccontavano gli Stunned Guys nel loro studio in viale Sarca a Milano negli anni Novanta. Nati nel 1993 come tandem artistico, si sono poi separati una dozzina di anni dopo.
La paternità di questo genere musicale non desta dubbi: è dovuta a un nome, quello del Mescalinum United, club nato nell’89 sulle ceneri di una fabbrica ubicata vicino ad alcune betoniere di una zona povera di Francoforte
. In seguito la hardcore si è evoluta, lo stile si è affinato, si è arricchito, e un gran numero di label affermano la sua vitalità. Per molti è stata invece la Germania la culla del genere. La favolosa avventura della hardcore sarebbe incominciata appunto in terra teutonica nell’89, con Pcp, cioè Marc Acardipane (e Thorsten). Oltre l’insormontabile Planet Core Productions e le sue svariate suddivisioni, altre etichette come Schockwave Recordings, Fischkopf e Napalm contribuirono all’egemonia germanica sulla scena internazionale. PCP ha prodotto un numero impressionante di mix e album.
Difficile dunque riuscire a numerare tutti i progetti personali di Marc Arcadipane: l’equipe ha creato, in un periodo di tempo di circa sei anni, una modesta scia di label. Innanzitutto Dance Ecstasy 2001, label varia e assai produttiva, tra le più particolari e destinata soprattutto a situazioni rave, una realtà comunque da aggiungere al progetto Natsy Django, T-Bone Castro, Rave Creator e ancora Ace The Space e Masters Of Rave che si sono create uno spazio tutto loro.
Siamo al top con ritmo indiavolato… Berlino è stata sinonimo di Love Parade, un milione e duecentomila anime scatenate che invadono la Nuova Capitale, dalla Tiergarten alla Porta di Brandeburgo, danzando a ritmo di hardcore, oltreché di trance e techno, drum’n’bass e hardhouse.
Tutti attorno a innumerevoli lovemobile, carri che sprigionano sound per più di dieci ore. Kotzaak e Super Special Corp sono le più sperimentate, molto violente, quasi come trovare la percentuale di acidità nei bpm. Citons Cold Rush Records, Fucking Loud e il suo opposto Fucking Soft, sono maggiormente. Seguono la No Mercy Records, che ha in catalogo “Prolos Have More Fun” e “Brauchst Du Pervers?”.
Nel corso degli ultimi anni sino alla grande era digitale, la musica hardcore e gabber ha mantenuto una base di fan fedele e appassionata, con una comunità attiva che organizza eventi, festival e produzioni di nuovi brani. La scena è rimasta vivace, con numerosi artisti emergenti e consolidati che continuano a produrre nuova musica. È probabile che ci siano stati cambiamenti nel suono, con l’adozione di nuove tecniche di produzione e influenze da altri generi musicali.
Questo potrebbe avere portato a una maggiore diversificazione all’interno del genere stesso. Possibile infine che siano stati raggiunti traguardi significativi nell’esposizione mediatica della musica hardcore e gabber, con la sua presenza in film, spot pubblicitari, o la collaborazione con artisti di altri generi. Gli autori sono Countdown, Powerplant e Techno Tribe. Elastica la White Breaks, produzione ideale per la PCP. Poi all’estero ci sono volti come quelli dei francesi Lunatic Asylum e Brain in A Box, quello dell’italiano Cirillo, dei Masters of Rave (“Are You With Me”), di Stickhead. Shockwave e Napalm sono entrambe produzioni di Michael Zosel Musikverlag. Altre etichette sono più techno: Generator, Anodyne, Junkfood.
Alle spalle della Schockwave Recordings, culto per le compilation “Braindead, si posizionano artisti come B.C. Kid, E. De Cologne, Wendy Milan e recentemente Bazooks e Hammer Bros, ai quali si aggiungono Out of Key e Laurent Ho. Quest’ultimo è di origini vietnamite, nato a Parigi, sui trent’anni, creatore dell’etichetta UW, produttore e dj. Per The Speedfreak c’è lo zampino di Martin Damm, cioè del team composto da Biochip C, Search & Destroy e Dj Fistfuck, tallonati da Michael Zosel. Drop Bass Network, a.k.a. Speed Freak, è sul genere delle produzioni Mokum. La Fischkopf, originaria di Amburgo, tenta di creare una hardcore ancora più violenta, molto estrema, con un breakbeat più efficace. L’album di Misunderstood, “Hardcore Machines”, prodotto da Speed Freak, o ancora quello di Cybermouse hanno fatto poi la differenza.
Ancora ritmo indiavolato. L’Olanda ha sempre costituito con la Germania e gli Stati Uniti l’ossatura della hardcore. Il maggior numero di uscite si sono registrate proprio in questo minuscolo Paese.
E sono state gran parte gabber. È stata la patria, questa, dei grandi appuntamenti, come detto, da Hellraiser al Thunderdome passando dal Nightmare in Rotterdam. Una techno pesante beneficiava di un grande riscontro. Le produzioni gabber avevano creato una fan base che è molto più che un partito politico: è un credo filosofico. La preannunciata ID&T è stata la più grande, una famiglia nata nel ‘92 da un’idea di Irfan Van Ewijk. Duncan Stutterheim e Theo Ielie sono stati i fautori del successo che risale al venti giugno di quell’anno, quando a Utrecht, presso il Jaarbeurs, si svolgeva la grande festa per la fine degli esami universitari: The Final Exam.
Qui, circa tredicimila persone diedero dato vita al Dream Team (che nulla ha a che fare con i ragazzi della speed garage inglese di fine anni Novanta): Dj Dano, Buzz Fuzz, The Prophet e Gizmo, anch’essi increduli. La Arcade supervisionava dall’alto e pensa a vendere milioni di pezzi della compilation Thunderdome. La Mokum, la label più popolare di Amsterdam, fu creata nel gennaio del ‘93 da Fred Berkhout, Dj Dano e Chosen Few. La sua filosofia era “picchiare duro”.
Insomma, la hardcore resta una dance furiosa, dall’energia da overdose, qualcosa che in grado di rispondere a tutte le richieste musicali e che rispecchia di tutto un po’ della hard dance. Sul piedistallo si posiziona Chosen Few, direttore artistico di Original Gabba e Hip Hop Kids. Stromlium 9000 e Bassground, oltre a Speedfreak, stazionano sopra i 200 battiti al minuto, stesso dicasi per DJ Dano, Search & Destroy e Technohead, oppure per Annihilator, Tellurian e Pinneapple.
L’americano Lorenzo Nash spara con “Wannakissmyself”. Vi sono classici poi che come “Who is Elvis” sono intramontabili. La Dom Records, con sede a Utrecht, è stata una label prolifica, così come la BRRR Records, di Zoetemeer, nata nel ‘91. Nel Belgio si fece anche avanti Liza Nellaz. La Bonzai, con la parentesi “Planet Hardcore”, ha puntato su una techno classica anche se l’avvento dei vari Laurent Ho, Piete Kuyl, DJ Pure e Dano, e la presenza di strutture come Atom Records di Anvers, e Loop Recirds (originario di Vienna) fanno pensare a un altro percorso.
Anche in Francia la hardcore si è sempre comporta bene. Nel ‘93 ha mosso i primi passi un movimento sotterraneo spalleggiato dalla rivista Cod-A.
La vicinanza col Belgio ha contribuito all’espansione del credo hardcore: Manu le Malin e Laurent Ho recitano la loro parte. “Ottotropp” e “Xnnamed” erano tracce di XMF, un altro elemento della Radikal Groov Records, quella di “Look For Markine”. Lo spessore di Epitheth, Gangsta Toons Industrie, B.E.A.S.T. Records (con Dj Olive & Isa) fecero il resto e scrissero la storia. In coda si posizionanorono Vendetta e DKP.
Negli Stati Uniti ai tempi c’era la Industrial Strength che nel ‘91, a Brooklyn, sfiorava l’universo con Lenny Dee e Jennifer Williams, questo grazie alla divisione I.S.T., cioè la Industrial Strength Trance: il primo singolo è stato brandizzato come Mescalinum United, progetto di PCP.
Industrial Strength prosegue nella divulgazione dell’aspetto trash industriale. Un po’ di gloria è anche per Disintegrator e Temper Tantrum, autori di “Take Care, Comb Your Hair”. Nomi della locale scena erano quelli di Alex Chesler, Rob Ryan e Oliver Chesler. Laura Grabbde, di Detroit, faceva un po’ di noisy techno attraverso delle produzioni singolari. La Bloody, Ralphie Dee, Techno Mentality miscelavano spesso la cassa distorta e i suoni acidi con sonorità house. Poi, erano Rob Gee, Mental Thèo, Charlie Lownoise e DJ Repete a colorare la grigia scena di New York, rendendosi protagonisti in alcune feste che si tenevano a Wall Street. Ma la scena americana riuscì a fatica a espandersi a causa della mancanza di pierre e gestori e restava relegata a rave illegali.
In Inghilterra, gli Atari Tenage Riot, fondatori della Digital Hardcore Recordings, con Scott Brown della Twisted Vinil, oltre a Evolution, Lee Newman e Michael Wells, vedono aprire una label come la londinese Praxis. Un bel ritmo indiavolato, certo.
Tre persone costituiscono l’Atari Teenage Riot: sono Hanin Elias, Carl Crack e Alec Empire. Se la hardcore in certi casi è più importante degli stessi rave, in Gran Bretagna, soprattutto nelle vicinanze di Londra, accade il contrario: la musica è semplice colonna sonora. I nomi della nazionale inglese sono quelli di Kill Out Squad, Dataflow, Salami Brothers, Technohead, GTO. Le label disposte alla pubblicazione di pezzi techno hardcore sono la React e la Novamute. Ma i re della hardcore sono stati anche i Prodigy, inizialmente lontani dal popolare chemical big beat: suoni violenti, punk, in distorsione, poca cassa in quattro quarti come tutto il movimento hardcore britannico voleva, per Flint e soci. È così davvero XL Recordings si rivelò la label che osò maggiormente.
In Giappone, molto rimase in fase embrionale e sotterraneo. Tokyo, Osaka, Kobe e Kyoto avevano spesso confuso le tendenze techno con il mondo gabber.
Nacque tra la confusione tuttavia la Hard Core Baby con la compilation “Manifeste”. Le esibizioni live però si sono sprecate, all’ombra del Monte Fuji: si andava da Out of Key a Yasuhiro BPM 400, da Wax Head a Yam Yam e M.T.I, dai pezzi della Analog Records alle iniziative alla Techno Data Bank WAX. Nomi come Nikoniko Satsugnidan, Eriko, Spray e Kane-gon illustravano come si stesse muovendo l’Impero della Hardcore Levante. Ken Ishii dalla techno si spostò alla hardcore e ancora alla techno. Pareva impazzito.
Le condizioni dell’Italia degli anni Novanta sul genere le conoscevamo tutti. Cirillo del Cocoricò di Rimini, Fabrizio e label come la Aquadar di Bologna (che punta sulla hard trance) lasciavano segni dove la Brainstorm di Fabio Locati faticava ad arrivare. L’Arsenic Sound di Paolino Nobile provò a colmare ogni lacuna. La carriera degli Stunned Guys (“abbiamo sempre amato stare a contatto con gente che ama questo sound”) iniziò nel ‘93 e merita un discorso a parte. Massimiliano Monopoli aka Maxx e Gianluca Rossi aka Giangy passavano le notti creando musica estrema, spinti da una voglia matta di fare un sound molto hard. “Un nome che ci siamo trovati addosso e che ha inventato l’amico Bubi al ritorno dall’Olanda con un contratto in mano”, diceva Maxx. La grande svolta arrivò grazie a Paul Elstak il quale, convinto del loro talento, stampò su Rotterdam Records il loro primo e.p., “Nidra”, seguito da “Amitraz 21%”. L’entusiasmo di Paul li convinse ad andare avanti mutando la passione.
“Abbiamo iniziato dai wimpiny, nel ’90, presso lo Space Studio di Viale Monza a Milano”. Interesse che divenne hobby e in seguito professione: da tempi part time a tempi full time… vero ritmo indiavolato…
“Provare a inserire questo tipo di produzioni in etichette già presenti sul mercato dance italiano non è servito a niente”, spiega ai tempi Giangy, mentre gli pendeva al collo il ciondolo con la faccia di Roger, la loro mascotte. “È chiaro che per fare musica nuova bisogna iniziare da zero con gente nuova e regole nuove”. È il ‘96 quando nasce Traxtorm Records, la prima label italiana esclusivamente hardcore. “Ci ha permesso di essere indipendenti nelle nostre produzioni, ci ha fatto imporre sulla scena europea ma nello stesso tempo anche promosso il genere in Italia, oltre che in Olanda”. Questo è stato possibile grazie a una struttura completa che oggi copre diversi aspetti. “Senza contare la stretta produzione di dischi con il puro scopo e la certa speranza di creare un vero e proprio movimento”. Traxtorm Records è stata un punto di riferimento per il pubblico hardcore di tutta Italia… che ritmo indiavolato.
Le collaborazioni con i migliori produttori olandesi, come lo stesso Paul Elstak, Neophyte o Darrien Kelly, sono nel catalogo che alla fine è ben visto da etichette come Rotterdam Records e Forze Records. “C’è stato un momento decisivo per la hardcore, da fine ‘96 all’estate ‘97. Il genere ha sfiorato più volte la mondanità ai vari Sib, Nightwave e in certe mega discoteche come il Florida di Ghedi. “Certi appuntamenti sono un fatto puramente affaristico”, dicevano i due. In fondo, cosa poteva spartire la hardcore con la dance mainstream degli anni Novanta? Nulla. “In comune c’è solo la pista da ballo. Quando la hardcore era happy hardcore il fenomeno era tale, era pronto per fare crossover, facevamo remix per Fargetta, Molella. Albertino qualcosa passava: ‘Hyper Hyper’ di Scooter. Che però noi suonavamo un anno prima”.
Hardcore è stato anche andare a tirare fuori il suono più sporco dalla techno e dalle tastiere analogiche. “L’utilizzo del campionatore è inverso al suo compito, quello di essere più fedele all’originale. Un dogma è la distorsione”. La celeberrima cassa distorta. “La 909 in distorsione, in over”.
Gli italiani sono così, narravano gli Stunned Guys. E gli olandesi? “Hanno il background”. I belgi? “Nell’epoca del Parkzicht, i dj come Rob e Paul Elstak andavano a stampare in Belgio perché etichette come Hithouse e Pulse 8 rispettavano il genere credendoci sino in fondo”. Gli inglesi? “Nel periodo happy c’era una hardcore, poi è sparita la cassa. I movimenti sono tornati underground”. Gli statunitensi… “Il vero movimento hardcore deve ancora nascere grazie alla bass music. Abbiamo suonato a Los Angeles e la cosa è piaciuta”. Dove non ha buon riscontro all’estero? “In Francia hanno altri gusti”.
Hardcore è stata mattanza sonora. “Con metà impegno, facendo un altro genere, guadagneremmo molto di più. Ma amiamo troppo questo sound. Qui ci sono molte preclusioni. Noi abbiamo investito quello che guadagniamo dalle serate”. È vera passione. Che tuttavia ha portato alla separazione di questo magico duo.
Nel 1992 così, in contrasto con i sorrisi e gli abbracci della acid house, la musica, i balli, le droghe stavano diventando veramente qualcosa di hardcore. Ciò ha dato vita a tutti i tipi di declinazioni stilistiche che sono durate dagli anni ’90 a oggi, in particolare la gabber, un mix implacabile di bpm superveloci, percussioni distorte e voci ruggenti che evocavano il nichilismo distillato degli skinhead di Rotterdam. Mentre altre varianti techno e trance altrettanto aggressive hanno ricevuto uno spazio nei teknivals francesi e nelle micro enclavi di Mosca, Newcastle e Valencia, la gabber è stata confinata nella sua sottocultura. Il 2019 ha visto la gabber e la hardcore ribollire nel mainstream delle donne dj. Nina Kraviz ha messo musica sempre più veloce nei suoi set. “Ha quell’energia spensierata che ti fa venire voglia di saltare”, ha ripetuto la star siberiana. “Alcuni snob della techno dicono che la gabber è insipida ed eccessivamente semplice. Questo mi fa venir voglia di suonarla ancor di più”. Il duo indonesiano Gabber Modus Operandi ha demolito festival e rave sotterranei con la hardcore. Il brand Boiler Room ha ospitato speciali hard dance di giovani crew provenienti da tutta Europae e il carrozzone dell’EDM americano ha spesso, figlio dei macro eventi dei Paesi Bassi, integrato nei programmi dei festival la hardstyle, vera fusione tra techno e hardcore, raggiungendo livelli davvero impensabili attraverso artisti del calibro della guatemalteca Diamanté Anthony Blackmon, noto ai più come Carnage.
Il londinese Ifeoluwa dice che le persone sono frustrate, arrabbiate e disilluse e hanno “bisogno di far uscire energia negativa e non necessariamente in modo violento”. Danny L Harle, ex PC Music e che gestisce i suoi party Harlecore, afferma che in Europa si sta formando una ennesima scena, dove crew come i polacchi Wixapol, gli italiani Gabber Eleganza e i francesi Casual Gabberz hanno seguito notevole perché riappropriatisi di un simbolismo neutro, organico e solo precedentemente associato all’estrema destra. Invece, onesto e utile per simboleggiare l’amore e la tolleranza, soprattutto nei confronti della comunità LGBT+.
È vero, non puoi corteggiare nessuno con una raffica di casse in quattro e distorte alla modica velocità di 160 bpm.
Parliamo di musica questa per la quale sei lì, in un club, in una discoteca, solo per ballare e fare casino. È come se un respiro collettivo di angoscia riempisse la stanza e tutti si scatenassero: “probabilmente uno dei migliori sentimenti al mondo”, sostiene Ifeoluwa.
L’eredità culturale della hardcore è ancora da definire. Nella pittura, quando si parla di hardcore ci si riferisce a una fantasia architettonica in cui edifici e rovine archeologiche di diverse geografie e temporalità sono messi insieme per formare paesaggi plausibili ma immaginari.
Indicando queste connotazioni, la mostra Capriccio 2000 ha attraversato le culture della musica dance elettronica nell’Italia millenaria. Si tratta di un momento culturale musicale unico che nasce da aree geografiche spesso trascurate. Rispetto alla techno e alla house, l’hardcore è un tipo di musica dance elettronica ancora in attesa di essere pienamente compresa.
È in netto contrasto con le culture che circondano i suoi generi correlati, saldamente canonizzati e recuperati in modo critico per la loro importanza sociale, politica e musicale. È una storia culturale, questa. La continua proliferazione di nuovi generi, come la speedcore e la happy hardcore, senza contare la gabber, segnano un cambio di passo nonostante sia ben seduta in una comfort zone tanto da poter diventare ad esempio qualcosa di folkloristico a livello europeo.
Emergendo tra Francoforte e Rotterdam alla fine degli anni ’80, lontana dal mito della techno di Detroit e della acid house del Regno Unito, si è fusa in un suono industriale…
Un suono accelerato, abbondante di distorsioni melodiche, kick aggressivi e pugnalate di synth a circa 180 bpm nelle province del Benelux. Fin dall’inizio, la hardcore è stata reazionaria rispetto alle scene di festa alla moda e per lo più opulente di metropoli come Amsterdam e Londra. Ha rivestito un’estetica da classe operaia e di rottura che ha abbracciato e celebrato un maschilismo non intellettuale, edonistico e rurale. Ha parlato direttamente a un mercato di massa di giovani europei in cerca di puro intrattenimento. I primi brani come “We Have Arrived” dei Mescalinum United, “Amsterdam” degli Euromasters, “Waar Lech Dat Dan?” e “Mentasm” di Second Phase riecheggiano questo effetto di distruzione nichilista, privilegiando una resistenza corporea esagerata rispetto a qualsiasi coesione estetica.
Non sorprende che la hardcore sia stata evitata dall’establishment techno e house.
Nel libro “Generation Ecstasy” del 1998, il giornalista musicale Simon Reynolds considerò il genere completamente separato da house, techno e derivati, e forse per via di quel suono grezzo, diretto, schietto, trasgressivo e alienante spesso caratterizzato da evidenti riferimenti alla droga. L’intensità unidimensionale e quasi infantile del movimento è spesso affiliata ai paesaggi post-industriali e privati dell’Europa proletaria, mentre i suoi partecipanti, vestiti con abbigliamento sportivo scadente e con lievi riferimenti skinhead, sono spesso indicati come l’incarnazione del tamarro. In Italia, ad esempio, l’area della Pianura Padana è diventata un fulcro per il suono alla fine degli anni ’90 presso super club lungo l’autostrada che da Milano porta a Venezia… un bel ritmo infernale.
“La hardcore è più vicino all’heavy metal che ad altro”, sottolinea Reynolds. Sono scene che semplicemente non moriranno, “soddisfacendo i bisogni fondamentali e duraturi della gioventù provinciale”.
In queste aree rurali, caratterizzate da una forte disoccupazione e poca sicurezza del lavoro, la hardcore è stato abbracciata anche da giovani di destra e pseudo-fascisti, che sono passati della durezza della classe operaia integrando le proprie convinzioni ideologiche superficiali ma estreme. È sottocultura classica. È neo tribalismo. La forte dimensione romantica e affettiva di questa nuova era di cultura giovanile tribale, che si connette e interagisce attraverso una rapida globalizzazione nel contesto dei media e facilitato da trasferte facili grazie ai voli low-cost, è entrata in una sorta di loop.
È un collasso postmoderno della specificità culturale e identitaria attraverso il consumo musicale e non: tendenza o stile puri.
L’ultimo imbastardimento della techno? No, qualcos’altro che ha rianimato sapori locali in diverse regioni europee, dalla solita Italia alla Spagna e anche in Austria e Svizzera. Il genere permette di vedere la connettività della recente società europea attraverso i processi intrecciati del consumo giovanile capitalista e della circolazione dei media, esemplificando come tale circolazione acquisisca la patina della nostalgia nel tempo. È il riscatto e il segno per decifrare importanti codici affettivi della formazione dell’identità, delle dinamiche sociali e dell’estetica giovanile nell’Europa millenaria. Con il suo insieme di gesti, costumi e leggende in continua evoluzione, sfida il modo in cui possiamo concepire il rapporto tra alto e basso, dominante e underground, postmodernismo e postindustrialismo, anche all’interno della storia relativamente sottile della musica dance elettronica.
Sada Says by Riccardo Sada x AllaDisco