Tele(rac)comandati / Sada Says 01 04 25

Tele(rac)comandati

Quelli che per chiudere il cerchio della promo vogliono assolutamente passare da show televisivi? In un mondo dominato da algoritmi e like si è diffusa l’illusione che i social possano sostituire i tradizionali mezzi di promozione. Eppure, per molti artisti, soprattutto in un mercato frammentato e generazionalmente polarizzato come quello italiano, l’approdo alla televisione rimane l’unico gesto in grado di trasformare un successo digitale in un fenomeno mainstream. I social costruiscono comunità, ma è la tivú a creare consenso.  

Tele(rac)comandati (…) I numeri raccontano una realtà spesso ignorata: secondo l’ISTAT, il 38% degli italiani ha più di 55 anni, una fascia demografica che trascorre in media quattro ore al giorno davanti alla televisione e che raramente scopre musica attraverso TikTok o Instagram.

Platform digitali come YouTube o Spotify, seppur vitali per gli under 30, rischiano di relegare gli artisti in bolle generazionali. La viralità di un brano su Reels o challenge può garantire visibilità immediata, ma senza una strategia televisiva, quella stessa visibilità rimane precaria, confinata in circuiti che non dialogano con il grande pubblico.

Bene, la televisione, al contrario, è ancora oggi il media che unisce famiglie, classi sociali e generazioni. Un passaggio in prima serata in chiaro su Rete4 o Rai1 non è solo una questione di ascolti: è un atto di legittimazione.

Programmi come Verissimo* o Che Tempo Che Fa offrono qualcosa che i social non possono replicare: un contesto trasversale e narrativo. Un’intervista a Silvia Toffanin trasforma un artista in un personaggio definito e definitivo, con una storia, mentre un’esibizione nel salotto di Fabio Fazio conferisce alla musica un’aura e un atto solenne e di autorevolezza culturale da massa.  

Non si tratta solo di raggiungere i più anziani, anche per conquistare quella fetta di pubblico adulto (30-50 anni) che pure usa i social, ma li percepisce come spazi caotici e poco affidabili, la televisione resta un faro.

Format come The Voice, Amici o X Factor mescolano generi e generazioni. Un duetto con un concorrente può far esplodere un brano nelle classifiche, mentre una performance a La Vita in Diretta assicura ripetuti passaggi radiofonici e presenza nelle playlist di locali o negozi, spesso curate da chi la TV la guarda ancora religiosamente.  

Tele(rac)comandati Persino le apparizioni in programmi considerati di nicchia, come un’intervista irriverente a Le Iene, a Striscia la Notizia o un cameo a Ballando con le Stelle, hanno un peso diverso rispetto ai social.

Pur generando clip condivisibili, arrivano filtrate da un’etichetta televisiva, percepita come più… ufficiale e credibile.  

C’è poi un aspetto psicologico cruciale: la tivú crea un’esperienza collettiva.

Mentre i social frammentano il pubblico in milioni di micro-interazioni individuali, uno show televisivo in diretta unisce milioni di persone sotto lo stesso momento. È qui che la musica smette di essere sottofondo e diventa evento condiviso, argomento di discussione al bar o in ufficio.  Questo non significa che i social siano inutili, a contrario: il modello vincente è ibrido. Una performance televisiva deve essere anticipata, accompagnata e amplificata da contenuti digitali (dietro le quinte, polemiche costruite ad arte, challenge). Ma senza il salto nel palinsesto, anche il brano più virale rischia di restare un fuoco di paglia: amato da una fetta fedele, ma ignorato dal resto del paese.  

Tele(rac)comandati… In Italia, dove il mercato musicale è ancora fortemente legato a logiche tradizionali, la televisione non è un retaggio del passato. È il confine finale della promozione, il luogo in cui si decide chi entra nel pantheon della cultura popolare e chi rimane confinato nelle tendenze di una generazione.

Riccardo Sada Sada Says