Quello che nessuno ti dice / Sada Says 28 03 25

Quello che nessuno ti dice Sada Says 28 03 25 Riccardo Sada Sada Says spacca… come sempre

L’idea che l’evoluzione non esista, ma solo il cambiamento, scardina ogni certezza anche nel mondo della musica. Se pensiamo alle discografie degli artisti, alle produzioni che hanno segnato epoche, o alle mode che si ripetono a cicli, tutto sembra confermarlo: non c’è un progresso lineare, ma un continuo mutare di suoni, strumenti e tendenze. Negli anni ’60, i Beatles rivoluzionarono il pop con melodie semplici e testi diretti, ma già nel decennio successivo i Pink Floyd sfidarono quelle regole con concept album iper-strutturati. Eppure, non fu un’evoluzione: furono due modi diversi di interpretare la creatività, rispecchiando il caos sociale e culturale del loro tempo.

Quello che nessuno ti dice (…) è che:

Anche oggi, tra lo swing delle trap e il ritorno dello shoegaze, non c’è un “meglio” o un “peggio”, solo adattamento. La tecnologia ha accelerato questo processo: le hit di oggi nascono in home studio, con software accessibili a tutti, mentre negli anni ’80 servivano costose sale di registrazione. Eppure, brani come *Blinding Lights* di The Weeknd riecheggiano synth anni ’80, dimostrando che il cambiamento non cancella il passato, lo rielabora. Nel mondo dell’intrattenimento, i concerti sono diventati spettacoli pirotecnici, olografie e coreografie da miliardi di stream, ma non per questo più “avanzati” dei live acustici di Bob Dylan. È cambiato il packaging, non l’essenza: emozionare chi ascolta. Persino il concetto di album è stato smontato: dalle tracklist studiate per i vinili ai singoli virali su TikTok, nulla è scomparso, tutto si è trasformato.

Guardando alle produzioni musicali, autotune e AI generano polemiche, ma ricordano le critiche ai drum machine negli anni ’90.

Il cambiamento spaventa, ma è l’unica costante. Artisti come David Bowie o Madonna hanno costruito carriere sul mutare identità, suoni e look, senza mai fossilizzarsi in un’evoluzione prevedibile. La discografia di Beyoncé, da *Destiny’s Child* a *Renaissance*, non mostra una progressione, ma un’esplorazione di generi, dal R&B alla house, senza gerarchie. E il pubblico? Anche lui cambia, non evolve. Le nuove generazioni riscoprono il pop punk degli anni 2000, i millennial rivendicano gli anni ’90, mentre i nostalgici riportano in vita il jazz. Gli algoritmi di Spotify creano loop temporali, mescolando epoche in playlist senza logica cronologica.

L’industria musicale, da sempre alla ricerca del “prossimo trend”, ha capito che non esiste un’evoluzione da inseguire, ma solo mutazioni da anticipare. Il successo di un brano come *Despacito* non ha segnato una svolta nel pop, ma ha reso evidente il potere delle collaborazioni globali e dei mix linguistici, già sperimentati decenni prima da artisti come Paul Simon o Peter Gabriel. Persino il vinile, simbolo di un passato “superato”, è tornato in auge, dimostrando che il cambiamento non ha una direzione.

Quello che nessuno ti dice (…) è che: nel marketing musicale, le strategie si adattano ai social: challenge su TikTok, teaser su Instagram, podcast per raccontare dietro le quinte. Niente di tutto questo è “più evoluto” delle interviste in TV o dei jukebox: è semplicemente diverso. E mentre i puristi discutono se il rap sia poesia o commerci, le hit dominano le classifiche da 40 anni, mutando ritmi, flow e tematiche senza mai tradire la loro radice: raccontare storie. Alla fine, ciò che chiamiamo “evoluzione” è solo la nostra ossessione di dare un senso al caos. La musica, invece, balla sul bordo di un eterno presente, dove tutto può tornare, trasformarsi, sparire. Perché in fondo, come scriveva Eraclito, “tutto scorre”. E nessun fiume è mai lo stesso, ma non per questo più evoluto.

Riccardo Sada Sada Says