La teoria del Cavallo Morto ( Riccardo) Sada Says 12 03 25

La teoria del Cavallo Morto by Riccardo Sada for Sada Says 12 03 25

Nella musica elettronica e oltre, il rinnovamento nasce dal lasciar morire ciò che non funziona: generi esauriti, tecnologie superate, modelli di business al collasso. Serve il coraggio di abbandonare il cavallo morto, come fece la defunct label che da mainstream diventò incubatrice di talenti sperimentali, o i dj che hanno sostituito i vinili con controller midi, ridefinendo il live act. I mezzi d’informazione devono smetterla di parlare al passato: integrare podcast, realtà virtuale, interattività. Metafora universale sulla resistenza ad accettare il fallimento, la Teoria del Cavallo Morto trova risonanze brucianti nel mondo della musica, dove l’inerzia creativa, le strategie obsolete e il diniego del cambiamento spesso dominano. Nel settore della discografia, della musica elettronica, tra i dj, nel clubbing e nej mezzi di informazione, cavalcare “cavalli morti” è una pratica diffusa, mascherata da innovazione o tradizione.

Acquistare una “sella nuova” equivale a investire in soluzioni cosmetiche per problemi strutturali.

Un’etichetta discografica che insiste a promuovere un genere elettronico ormai fuori mercato (come la trance anni 2000) con costosi videoclip o remix di artisti trendy, anziché esplorare sonorità emergenti (hyperpop, deconstructed club), sta solo agghindando un cadavere. Allo stesso modo, un dj che rifiuta controller moderni per attaccarsi ai vinili, limitando la fluidità dei live set, illudendosi che il “vintage” basti a sedurre un pubblico abituato all’interattività. Licenziare il producer o sostituire il resident dj in un club senza rivedere la programmazione musicale è come cambiare fantino a un cavallo morto. Un esempio? I festival di techno che rimpiazzano i headliner con nomi giovani, ma mantengono line-up monocromatiche, ignorando la richiesta di diversità (la afro-house, la ambient). O le major che assumono A&R giovani per sembrare in linea, in trend, ma perpetuano logiche di contratto predatorio, soffocando l’innovazione.

Organizzare panel su “come rilanciare la musica d’autore” o webinar sul “future of streaming” senza agire è come discutere come far correre un cavallo morto.

I media musicali che pubblicano report su “la crisi del physical sales” da 15 anni, senza ripensare i modelli di business (subscription, contenuti esclusivi), o le radio che trasmettono playlist identiche da decenni, sono esempi di inerzia istituzionalizzata. Alterare i parametri del successo per negare il fallimento è comune. Un artista dance che, dopo un flop, definisce il suo album “un esperimento concettuale” (anziché un errore) o un’etichetta che rilancia un flop discografico come “cult per nicchie” stanno riscrivendo la realtà. Persino i mezzi d’informazione che etichettano il calo di ascolti come “evoluzione dell’audience”, senza ammettere di aver perso il contatto con i nuovi consumatori, cadono in questa trappola.

Investire in mastering costosi (scrive Riccardo Sada) per un brano noioso, o mandare un dj a corsi di “social media strategy” senza lavorare sulla qualità dei set, equivale a nutrire un cavallo morto.

Le case discografiche che assumono SEO specialist per promuovere album privi di identità, o i media che comprano software di AI per articoli privi di insight, sprecano risorse evitando la verità: il problema è la sostanza, non il packaging.

Accettare che un progetto sia morto richiede coraggio. Un esempio positivo? I dj che abbandonano il circuito mainstream per fondare label indipendenti, o artisti come Björk che hanno abbandonato la club scene per esplorare l’avant-garde. Al contrario, festival che replicano format anni ‘90 (rave con visual retrò) o media che resistono al digitale, aggrappati alla carta, pagano il prezzo dell’obsolescenza.

Riccardo Sada Sada Says