La musica tutta uguale / Sada Says

La musica tutta uguale, ecco il nuovo capitolo della saga Sada Says

Sono sicuro che molti di voi avranno notato che la musica sta iniziando a suonare sempre più uguale. A volte ho difficoltà a distinguere i diversi artisti. Come giornalista che ha iniziato a scrivere di musica sul finire degli anni Ottanta e vivendo inizialmente un periodo completamente in analogico, ho attraversato ogni evoluzione della registrazione e del mixaggio digitale, sono stato testimone dei cambiamenti nella tecnologia e nel settore musicale che hanno portato la musica a perdere la sua unicità.

È quello che accade in studio, che mi interessa.

Il resto della filiera, il costume, quelli molto meno. Diciamo che quando un’opera, un master, un contenuto, un qualcosa di allontana dallo studio, perde per me il suo fascino. Diventa adulto e perde forma e sostanza originaria e la lascio andare, verso il baratro o l’Olimpo, verso il pop o l’underground. Musica, arte, che diventa discografia ed entra in un processo e mi piace di meno, mi interessa di meno. Guardo curioso engagement e viaggio, giudizi, assegnazione di valori nuovi ma sono tutti dati che non appartengono alla mia idea, alla mia percezione.

Ho spesso una prospettiva e delle motivazioni diverse per rispondere a coloro che parlano di qualità della musica e della sua etichettatura, che a me, come cronista, fa anche tanto comodo.

Tutto questo mentre la sindrome del “suona tutto in modo simile” dilaga. Un tempo tutto ciò che si sentiva in una canzone, ogni strumento, ogni voce, veniva registrato con un microfono, il che significava che tutto il suono passava attraverso l’aria. E l’aria può introdurre un’infinità di variazioni nel suono, perché il suono cambia in base alla pressione atmosferica, alla temperatura e all’umidità. Stiamo parlando di una piccola quantità di aria ma quando si sommano tutti i microfoni e le relative incisioni, si ottiene un effetto cumulativo se si considerano tutte le riprese utilizzate in un’unica sessione rispetto a un’altra sessione registrata in uno studio diverso e in condizioni diverse.

Ma perrché la musica tutta uguale gira intorno?

C’è anche qualcosa di speciale nel suono dell’aria che attraversa l’aria, ed è ciò che ci dà la vita. È ciò che respiriamo. E considera che in molte delle canzoni che ascoltiamo oggigiorno, l’unica cosa che viene registrata con un microfono e che passa nell’aria è la voce. Tutto il resto passa attraverso un cavo. C’è anche una grande differenza nel punto in cui vengono posizionati i microfoni. Il suono sarà diverso se è qui, qui, qui o angolato. Si tratta di una quantità infinita di variazioni.

Molti plug-in che i produttori che cercano scorciatoie, che potremmo chiamare quasi splicers (dalla piattaforma Splice, ndr), usano workstation audio digitali, nei loro computer; spesso molto è fatto in the box. Il microfono scompare, il take scompare, il plug-in e l’emulatore trionfa. Questo tipo di produttori, che sono la maggior parte, devono sottostare a regole di mercato, pressioni e tempi dettati dall’alto. Un disastro. Sono professionisti che amano a loro modo il proprio mestiere, ti dicono che non riescono a tenere conto di tutti i compromessi, si adattano, sono un ingranaggio del sistema.

La somma di incisioni differenti dà vita a un suono unico, nuovo e diverso dagli altri.

Al contrario, l’uso massivo di plug-in similari genera traffico della stessa matrice. È tutto un copia-incolla della parte secondo noi migliore, è la ripetizione la vera esaltazione e incollare parti su parti sembra diventato non un lavoro ma quasi un gioco. Ora, al di là del solito discorso che suonare e giocare in inglese si dica play, e questa è una frase che ha stancato i boomer ma che potrebbe far riflettere i più giovani, cosa accade? Che abbiamo copie di copie di copie, identiche, e sempre meno identità nelle realizzazioni. Questa mania di sistemare le cose, di quantizzare annotazioni e note, riordinare pensieri come fossimo in lavanderia, sta generando un piattume che alla musica non fa bene.

La musica tutta uguale… Ci vorrebbero più performance dal vivo, con delle vere band, ma sul palco ci sono sempre meno persone che suonano.

E ci sono meno band. Ci sono i dischi che tutti noi amiamo da tempi non sospetti ma non c’è un vero ricambio generazionale. Non c’è sul palco e non c’è nemmeno negli studi. Pensiamoci bene, assembliamo cose già pronte. È un continuo ingurgitare e risputare lo stesso suono e non abbiamo ancora parlato di campionamenti e dj. Abbiamo portato il loro beatmaching nella produzione. Il dj ha consacrato la musica ma nello stesso tempo nel suo laboratorio, seduto al posto del produttore, l’ha uccisa.

Là dove c’era la scrittura oggi c’è il beat, dove c’era una squadra con fonico, arrangiatore, musicisti che andavano e venivano e cablavano e improvvisavano, c’è un uomo solo. Che fa tutto. Che fa beat. E guai a dirglielo.

Ti darebbe del vecchio, del tipo non al passo coi tempi. Alla faccia della crescita, dello sviluppo. Sono andati tutti verso una direzione differente, fatta ansia e fretta, di passo lesto perché popstar o aspiranti tali non hanno tempo da perdere e i loro manager reclamano follow-up a getto continuo, come il consumismo pretende. Non ci sono dinamiche emotive.

La musica tutta uguale… L’atto d’amore è bello ma inutile. Evviva il tradizionalismo.

Quando si prende poi una posizione ci si dimentica che questa verrà passata di testimone e quindi i beatmaker si scaglieranno tra anni probabilmente con i prompter di app generative al soldo di corporazioni. Se tutelo gli utenti di una MPC, anche se io ho usato per anni una Drumulator arrivatami da Andy Fletcher, poi da me arriveranno quelli che c’erano prima. È una ruota. Ci sarà sempre qualcuno che farà le pulci a qualcun altro. La cosa particolarmente interessante di molte drum machine è, lo si è detto anche sopra, la loro quantizzazione, il processo con cui, quando si suonano i pad e si crea un ritmo, lo si allinea per renderlo più a tempo.

La quantizzazione di queste cose non è mai stata accurata. In un certo senso si è spostato verso una certa distanza, è stata la stessa cosa due volte. In realtà, le cose dal vivo e mezze shuffleate avevano un’atmosfera tutta loro, anche nella Disco. Le drum machine sono emerse con la hi-nrg, con Moroder, Jarre, l’electro di fine Settanta e sono da considerare dei veri e propri campionatori. È possibile registrare l’audio, tagliarlo, quindi assegnarlo ai pad e riprodurlo. E anche se molti di questi erano dotati di suoni di serie, la maggior parte delle persone non li usava.

Molti hanno iniziato campionando album e dischi. Non solo per far prima: anche per risparmiare.

Quando hai una tua libreria di suoni, sei a posto, quando, come un segreto diffuso, inizi a condividerla, allora ce l’hanno tutti e, nonostante ognuno la possa usare a suo modo, la matrice è a spasso, naviga da studio a studio e da produzione a produzione. E poi nessuno crea davvero i propri suoni così gli splicers dilagano. I plug-in in vendita spesso per abbonamento sono dotati di pacchetti di campioni preimpostati e vengono acquistati non apparentemente in base alle esigenze bensì per azioni di marketing e moda. Funziona molto un genere? Usiamo i suoni perfetti per quel genere.

Tutto è tremendamente perfetto e confezionato a dovere e quindi ingolosisce l’utente. E addio serendipity. Addio errore che è un termine che non esiste nella musica se non per chi ha la scienza infusa ed è un integralista dello spartito. È tutto drammaticamente warpizzato (che caso: è la somma di war, guerra, e pizza). Quindi ci ritroviamo con questa musica che è perfetta e di facciata, tutta a tempo ma priva di qualsiasi emozione. Musica senza sentimento e senza umanità. Vogliamo tutti l’autotune e lo vogliamo intendere come strumento a sé, non posticcio.

Stiamo dando voce ai muti. Siamo tutti intonatori di tutti. Il gregge è infinito. Nessuno col pensiero laterale. Si sono creati partiti della loudness war, sindacati a favore del Dolby Atmos, oltranzisti del vintage a tutti i costi, scuole di pensiero che vanno dritte per una strada senza bivi. Senza il giusto equilibrio. Senza il giusto mix. Il mixaggio è uniforme, non riconoscibile da chi lo ha generato e magari la colpa è delle piattaforme che voglio un certo spessore, un preciso livello, una indiscutibile soluzione. Tutto l’analogico del mondo viene dato in pasto al digitale per tornare analogico quando entra nelle nostre orecchie. E non c’è più alcuna dinamica. Tutto è rumoroso. Bisognerebbe restare umili e provare a fare qualcosa di diverso. Uscendo dagli schemi c’è un mondo nuovo: che è quello vecchio. Ve lo dice uno che a breve diventerà vecchio.

Riccardo Sada Sada Says x AllaDisco