Dj e politica, Sada Says

Dj e politica, qual è il rapporto tra due cose così diverse? Ce lo racconta Riccardo Sada x Sada Says x AllaDisco… nella foto vedete Fatboy Slim con tanto di elmetto in testa

I fan della dance mainstream non leggono troppo attentamente tra le linee estetiche per trovare sentimenti politici. Se ne fregano. A differenza delle culture rock e hip-hop degli anni Ottanta e Novanta, i dj del nuovo millennio ci hanno messo la faccia incontrando diversi ostacoli quando sono entrati nell’attivismo. I dj legati alla musica elettronica temono che le posizioni politiche possano allontanare i fan e compromettere ingenti stipendi. Specialmente quando questi assegni provengono dai proprietari di mega club, da Las Vegas sino a Ibiza e passando da Dubai. È quasi impossibile poi per un dj andare in tournée senza avere a che fare con le grandi società di intrattenimento.

Dj e politica

Molte location sono ecosistemi di vanità, elitarismo e sperpero di denaro. Sono posti dove vige un pensiero superficiale dirottato dalla stessa esperienza della dance. I dj possono assumere sempre più una posizione politica. La questione sarà determinante un domani in piena consacrazione della cultura pop americana. I giovani vogliono sempre qualcosa in cui credere. Le origini della dj culture e della musica dance sono disseminate di ribellione. Gli artisti urban e hip-hop, dai Public Enemy agli NWA fino agli Odd Future, hanno sfidato il governo, la società e le sue strutture.

House, disco e techno sono state forgiate nelle sottoculture di colore e gay nei sobborghi urbani come Chicago e Detroit. Il concetto ormai onnipresente di swag deriva dai balli proibiti della scena drag di Harlem negli anni ’80. Dalla fine degli anni 2000, la dance si è fusa con il pop e l’hip-hop per diventare un vortice di divertimento. E’ un sinonimo di pura evasione che è partita dalle discoteche ed è arrivata ai festival, agli stadi. La maggior parte delle canzoni ideate dai dj mainstream sono inni alla pace, all’idea di vivere alla grande. La cultura del djing consiste nell’organizzare delle feste e divertirsi. Stop. Nessuno vuole ricevere lezioni di politica su una rumorosa pista da ballo. Molta musica dance significa vivere il momento.

Un popolare video, “DJs for Obama”, circolato durante l’estate 2023, in cui sono apparsi artisti come Adam 12 aka Adam Bravin, DJ Cassidy e Steve Aoki. Insieme, hanno reso noto il loro affetto per l’ex presidente Usa Barack Obama sostenendolo per la sua rielezione.

Nel mese di settembre dello stesso anno Bravin ha tenuto un set di musica hip-hop e soul durante un evento di raccolta fondi di Barack Obama alla House of Blues di West Hollywood. Era la seconda volta che Adam suonava a un evento elettorale e lo staff di Obama voleva che tornasse nel backstage per incontrare proprio il presidente. Adam aveva indossato per l’occasione una giacca e sotto una maglietta con una scritta politica provocatoria recuperata fortuitamente dopo che la sua camicia si era macchiata di caffè. 

Dj e politica, anche per Kode9, l’artista dubstep e proprietario della Hyperdub Records.

Ha scritto un libro, “Sonic Warfare”, su come la musica e il suono possono essere usati come strumenti di tortura e quindi anche come arma di guerra (le canzoni di Britney Spears furono usate nella Prigione di Guantánamo, a Cuba, nel 2010, ndr). Attivista di sinistra di lunga data, Moby ha dedicato i profitti di un tour del 2009 alla California Partnership to End Domestic Violence per combattere i tagli al budget della California che colpiscono i rifugi per la violenza domestica. “Quando Newt Gingrich e Ronald Reagan parlavano del drenaggio del welfare delle mamme nella società, era così ovvio che nessuno dei due fosse mai stato in un rifugio per donne”, disse Moby al Times nel 2009.

Steve Aoki ha dato vita a una campagna di raccolta fondi per il candidato sindaco di Los Angeles Eric Garcetti, cittadino di Silver Lake che sempre ha sostenuto la scena musicale locale e la riqualificazione del quartiere.

Aoki ha filmato un video per il suo singolo “The Kids Will Have Their Say” utilizzando filmati delle proteste di Occupy LA del 2022. “Ognuno ha le proprie convinzioni ma posso dire che la scena dance nel complesso si è dimostrata piuttosto liberale”, ha aggiunto Aoki. “I valori di accettazione e sostegno della comunità EDM si intrecciano con ciò che Obama dice e non sono mai riuscito a vedere alcuna connessione tra il mio mondo e quello Mitt Romney”.

In Europa alcuni dj hanno ricordi tangibili di governi totalitari e della musica dance come forma di ribellione.

Paul van Dyk è nato a Berlino Est nella Germania sotto l’occupazione comunista e ha usato spesso la sua piattaforma internazionale per sostenere le iniziative Rock the Vote in America e la riforma dell’istruzione tedesca. “Da adolescente, quando mi sono appassionato alla musica dance, ho visto le persone farsi mettere in un angolo dal governo fino a scomparire; c’erano enormi restrizioni su ciò che si poteva ascoltare e cosa no”, ricorda il guru della Love Parade. “Quando cadde il muro di Berlino, capii che la democrazia era la soluzione migliore ed essendo cresciuto in una dittatura per me era importante essere schietto. Le persone che ci seguono, che vengono a ballare, devono portarsi quell’energia a casa”.

Alcuni artisti cresciuti nella scena elettronica rivendicano spesso connessioni con il punk. I Justice hanno parlato delle rivolte di Parigi nel loro video “Stress”.

Aoki invece è noto per aver incluso “New Noise” della band hard-core di sinistra radicale Refused nei suoi set. “Ho sempre cercato di essere un ponte tra la dance e il punk, i miei testi sono chiari come il sole”.

Le connessioni tra dj, discoteche e politica sono molteplici e si articolano su diversi livelli: sociale, economico e culturale. Le discoteche, i club e alcuni festival rappresentano luoghi di espressione culturale e aggregazione giovanile, dove nascono tendenze musicali e sociali che influenzano il dibattito pubblico. I dj, in questo contesto, non sono solo artisti ma veri e propri influencer culturali. Negli anni ’80, ad esempio, la musica house e techno ha dato voce a comunità afroamericane e LGBTQ+, diventando un simbolo di resistenza e inclusione da Chicago sino a Detroit.

Un altro esempio è quello della scena rave britannica degli anni ’90, che ha contestato il governo Thatcher, culminando nel Criminal Justice Act del 1994, una legge che cercava di reprimere i raduni musicali illegali.

Le discoteche e i dj rappresentano un’industria cruciale per l’economia di molte città, attirando turismo e creando posti di lavoro. A Ibiza, il successo di dj come Carl Cox o David Guetta ha trasformato l’isola in una meta globale per gli amanti della musica elettronica, con un indotto economico che coinvolge hotel, ristoranti e trasporti. Anche Berlino ha fatto della sua scena techno un punto di forza turistico e culturale, con club come il Berghain che attirano migliaia di visitatori ogni settimana e contribuiscono significativamente al PIL della città.

Ebbene, la politica entra in gioco nella regolamentazione degli orari, delle licenze per alcolici e del controllo del rumore, spesso con tensioni tra autorità e gestori di locali.

A Milano, per esempio, il “Piano della Movida” regola gli orari e le emissioni sonore dei locali notturni, cercando di bilanciare il diritto al divertimento con quello alla quiete pubblica. In Australia, invece, le “lockout laws” (leggi di chiusura anticipata) introdotte in città come Sydney per ridurre la violenza notturna hanno suscitato proteste da parte di club, dj e artisti, che le considerano dannose per la cultura e l’economia della nightlife.

Le discoteche sono state spesso teatri di resistenza politica e sociale, diventando spazi per le minoranze e i movimenti contro-culturali. Un esempio è il Paradise Garage di New York, che negli anni ’70 è stato un punto di riferimento per la comunità LGBTQ+, dove la musica disco e la figura del dj Larry Levan hanno avuto un ruolo simbolico nell’affermazione dei diritti civili. In Italia, invece, i rave illegali degli anni 2000, spesso organizzati in reazione alle normative restrittive, hanno portato a confronti diretti con le istituzioni, rendendo la musica elettronica un mezzo di espressione politica.

Certo, in alcuni casi, dj e discoteche collaborano direttamente con le istituzioni per promuovere valori sociali o iniziative politiche. In Olanda, ad esempio, ADE con ADE Green promuove la sostenibilità ambientale nella nightlife, coinvolgendo dj e organizzatori in iniziative per ridurre l’impatto ecologico degli eventi. In Francia, il Ministero della Cultura ha riconosciuto la musica elettronica come patrimonio culturale, sostenendo eventi e collaborazioni con dj di fama mondiale per promuovere il turismo e la cultura locale. Questi esempi evidenziano come il mondo dei dj e delle discoteche non sia solo intrattenimento, ma anche un potente veicolo di trasformazione economica, sociale e politica.

È poco, lo sappiamo. Si può fare di più.

Riccardo Sada x Sada Says x AllaDisco