Piccola lunga storia del remix e della sua arte, ci scrive Riccardo Sada in Sada Says
Un remix è un po’ una riorchestrazione. È uno stralcio multimediale che è stato alterato o contorto rispetto al suo stato originale aggiungendo, rimuovendo o modificando parti dell’elemento stesso. Può essere una canzone, è nato grazie ad essere, ma può essere una rimessa in discussione di una qualsiasi opera d’arte, di una creazione: di un libro, di una poesia, di un filmato o di una fotografia. Tutto può essere remixato. L’unica caratteristica di un remix è che si appropria e modifica altri materiali per creare qualcosa di nuovo.
È un po’ come una polpetta che magari prima era un pezzo di lesso. Più comunemente, più diffusamente, i remix sono altro: sono un sottoinsieme del mixaggio audio nelle registrazioni di brani musicali. Le canzoni possono essere remixate per una grande varietà di ragioni: per essere adattare o rivedute per infiniti target: per la trasmissione radio o la riproduzione nei clubo nei festival, per (ri)creare una versione di remastering con suono stereo o surround di una traccia dove questi non erano precedentemente disponibili e quindi per migliorare la fedeltà di un brano più vecchio per il quale il master originale è stato perso o degradato per modificare una canzone per adattarla a un genere musicale.
Piccola lunga storia del remix…
Il remix altera una canzone per scopi artistici per fornire versioni aggiuntive di una canzone da utilizzare come tracce bonus o per un lato B, ad esempio, in tempi in cui le playlist sono innumerevoli e l’offerta infinita. I remix non devono però essere confusi con le modifiche, che di solito comportano l’abbreviazione di un master stereo finale per scopi di marketing o di trasmissione. Quello è un altro discorso. Un’altra distinzione va fatta tra un remix, che ricombina pezzi audio di una registrazione per creare una versione alterata di una canzone, e una cover.
E vorremmo evitare anche la parentesi più diretta del mash-up che può essere comunque creativa ma limitata negli interventi e nella sua stratificazione e sovrapposizione (e qui Girl Talk è stata una delle prime a fare scuola). Una ri-registrazione della canzone di qualcun altro è un’altra cosa. Sebbene il mixaggio audio sia una delle forme di remix più popolari e riconosciute, questa non è l’unica forma (multimediale) che viene remixata in numerosi esempi. La letteratura, il cinema, la tecnologia e i sistemi sociali possono tutti essere considerati una forma di remix.
Piccola lunga storia del remix… Ma come?
Sin dagli albori della registrazione del suono, alla fine del XIX secolo, la tecnologia ha consentito alle persone di riorganizzare la normale esperienza di ascolto. Con l’avvento del nastro magnetico facilmente modificabile negli anni Quaranta e Cinquanta e il successivo sviluppo della registrazione multitraccia, tali alterazioni divennero più comuni. In quei decenni, il genere sperimentale della musique concrète utilizzava la manipolazione del nastro per creare composizioni sonore. Modifiche artisticamente meno elevate hanno prodotto medley o registrazioni innovative di vario tipo. Il remix moderno affonda le sue radici nella cultura del dub, dei soundsystem e della dancehall giamaicana di fine Sessanta e inizio Settanta. L’evoluzione della musica che comprendeva ska, rocksteady, reggae e dub è stata abbracciata dai mixer musicali locali che hanno decostruito e ricostruito le tracce per soddisfare i gusti del loro pubblico.
Produttori e ingegneri come Ruddy Redwood, King Tubby e Lee “Scratch” Perry hanno reso popolari mix strumentali essenziali. Le chiamavano “versioni”. Versioni di brani reggae. Inizialmente, nella prassi hanno eliminato le tracce vocali, in modo semplice, poi presto sono stati creati effetti più sofisticati: inserendo tracce strumentali separate dentro e fuori dal mix, isolando e ripetendo hook e aggiungendo vari effetti come eco, riverberi e delay. La band krautrock tedesca Neu! ha utilizzato anche altri effetti sul lato due dell’album “Neu! 2” manipolando il singolo “Super”/“Neuschnee” precedentemente pubblicato in più modi, utilizzando la riproduzione a diverse velocità del giradischi o manipolandolo utilizzando un registratore a cassette.
Dalla metà dei Settanta, i dj nelle prime discoteche con loop e montaggi su nastro eseguivano trucchi simili per portare e coinvolgere la gente in pista e trattenerla lì.
Una figura degna di nota è stata quella di Tom Moulton che ha inventato il remix dance come lo conosciamo ora. Sebbene non fosse un vero e proprio disc jockey, Moulton aveva iniziato la sua carriera realizzando un mixtape fatto in casa per una discoteca nel quartiere di Fire Island, a New York, sul finire dei Sessanta.
I suoi nastri divennero popolari attirando l’attenzione dell’industria discografica della Grande Mela. Piccola lunga storia del remix…
All’inizio, Moulton fu semplicemente chiamato a migliorare l’estetica delle registrazioni orientate alla dance prima della pubblicazione. Alla fine, è passato per diventare l’uomoaggiustatutto dei dischi pop con la specializzazione in remix per i club. Involontariamente, Moulton ha inventato il breakdown, la fase per il beatmatching, l’intro lungo e il formato in vinile singolo da 12 pollici.
Come? Studiando e comprendendo le esigenze dei dj durante il loro lavoro. Walter Gibbons ha fornito la versione dance del primo singolo commerciale da 12 pollici attraverso “Ten Percent” dei Double Exposure. Contrariamente alla credenza popolare, Gibbons non ha mixato il disco: la sua versione era solo una riedizione del mix originale. Moulton, Gibbons e i loro contemporanei Jim Burgess, Tee Scott e più tardi Larry Levan e Shep Pettibone, molti di Salsoul Records, si sono rivelati il gruppo di remixer più influente per l’era del clubbing. Il catalogo Salsoul Records tra l’altri è visto come lo standard da cui prendere spunto per la loro forma d’arte, per i remixer.
Pettibone ha fatto parte di un ristretto numero di remixer il cui lavoro è passato con successo dall’era Disco a quella house… per una Piccola lunga storia del remix…
Al suo fianco, Arthur Baker e François Kevorkian. Contemporaneamente alla Disco, a metà degli anni ’70, la cultura del dub e i remix in chiave Disco si incontrarono attraverso gli immigrati giamaicani nel Bronx, partendo dalle comunità che ruotavano attorno al movimento hip-hop. Figure fondamentali nell’arte del remix includono così nomi come quelli di DJ Kool Herc e Grandmaster Flash. Fare cut-up e scratchare divennero parte della cultura hip-hop ma difficilmente hanno fatto breccia nei cuori della Disco e di quello che ne è seguito a parte la parentesi hip-house in cui due mondi sono confluiti in uno unico.
Però, uno dei primi successi mainstream di questo stile di remix figlio dell’electro e dell’hip-hop di allora (1983) fu il brano “Rockit” di Herbie Hancock, remixato da Grand Mixer D.ST in modo assolutamente magistrale.
Malcolm McLaren e il team creativo dietro la ZTT Records presentarono un nuovo stile di hip-hop anche in dischi come “Duck Rock”. Si dice ancora, e non si smette di farlo, che il remix del duo inglese Coldcut di “Paid in Full” di Eric B. e Rakim, pubblicato nell’ottobre 1987, abbia gettato le definitive basi per l’ingresso del rap nel mainstream del Regno Unito.
Dorian Lynskey di The Guardian definì quello dei Coldcut il remix di riferimento inserendolo nella sua top ten di remix di tutti i tempi. Il remix dei Coldcut, chiamato “Seven Minutes of Madness”, è diventato un riferimento, un faro. Molte band coinvolte negli Ottanta, dalla Yellow Magic Orchestra ai Depeche Mode, dai New Order agli Erasure passando dagli Yazoo ai Duran Duran, sperimentarono versioni più complesse del mix esteso. Madonna ha iniziato la sua carriera scrivendo musica per discoteche e ha utilizzato ampiamente i remix per dare impulso alla sua carriera; uno dei suoi primi fidanzati fu John “Jellybean” Benitez, che creò diversi mix e remix dei suoi lavori.
Gli Art of Noise hanno portato gli stili di remix all’estremo creando musica interamente da sample e furono tra i primi gruppi popolari a sfruttare veramente il potenziale liberato dalle composizioni basate sui sintetizzatori di musicisti elettronici come Kraftwerk, Yellow Magic Orchestra, Giorgio Moroder e Jean-Michel Jarre. Ecco come può essere raccontata una Piccola lunga storia del remix…
Simile a quello degli Art of Noise è stato il lavoro degli Yello, che presentavano suoni campionati e sintetizzati; i Cabaret Voltaire influirono sui trend di mercato. Dopo l’ascesa della musica dance alla fine degli anni ’80, l’iter era sempre le stesso: il mantenimento della voce originale e la graduale sostituzione degli strumenti usati per la realizzazione del brano stesso, spesso con un groove e un accompagnamento coordinati nel pieno del linguaggio della musica house dei tempi. Lo sa bene Jesse Saunders, noto come The Originator of House Music (il Padrino era Frankie Knuckles), è stato il primo produttore a cambiare l’arte del remix creando attorno alle parti vocali o centrali di un preciso strumento (un pianoforte, degli archi, dei synth) la sua di musica, originale, sostituendosi completamente al mood della traccia originale.
Saunders ha introdotto questa tecnica per la prima volta con la canzone “It’s a Cold, Cold World” del progetto Club Nouveau, nel maggio 1988. Ecco come continua, una Piccola lunga storia del remix…
Un altro chiaro esempio di questo approccio è la ballata di Roberta Flack del 1989 “Uh-Uh Ooh-Ooh Look Out (Here It Comes )” che Steve “Silk” Hurley da Chicago ha radicalmente rielaborato in un frastornante e massimale remix eliminando tutte ciò che c’era di strumentali e secondo lui di debole nella traccia. L’arte del remix si è evoluta gradualmente. È passata dai trattamenti made in Usa a quelli europei anche d’avanguardia come quelli di Aphex Twin.
Nei Novanta, con l’ascesa dei personal computer sempre più potenti e una sempre più ampia accessibilità a nuovi hardware si diffonde il remixaggio da ambiti underground.
Il sottosuolo fa da strada maestra: centri social, laboratori sonori, camerette, soffitte, scantinati si trasformano in improvvisati e umidi studi di registrazione. Björk, Nine Inch Nails e Public Enemy vanno alla ricerca di remixer e produttori sconosciuti abbracciando nuove tendenze. Il remix diventa prevalente nei circoli e nei club dove si strizza l’occhio alla musica elettronica, quella più sperimentale e più contaminata da suoni sintetizzati e campionati. Per una Piccola lunga storia del remix…
Nella musica popo, almeno secondo il Guinness World Records, Madonna è l’artista più remixata. Il suo album di remix “You Can Dance” ha il merito di aver contribuito a rendere ancor più popolari le pubblicazioni di album di remix, quindi ha creato un effetto domino.
Molti altri artisti mainstream sono coinvolti in controversie sui remix. Nel 2015, Jay-Z è stato processato per una disputa sul suo utilizzo di un campione da “Khosara Khosara”, una composizione del compositore egiziano Baligh Hamdy, per il suo singolo “Big Pimpin’”. Osama Fahmy, nipote di Hamdy, ha detto che mentre Jay-Z aveva i “diritti economici” per utilizzare la canzone, non aveva i “diritti morali”. Nel 1988, la canzone art-rock di Sinéad O’Connor “I Want Your (Hands on Me)” fu remixata per enfatizzare il fascino urbano della composizione (l’originale contiene una linea di basso serrata e stridente e una chitarra ritmica non del tutto diversa dal lavoro degli Chic). Nel 1989, “Pictures of You” dei Cure fu remixata ribaltandone la composizione, stravolgendone completamente il ritmo e allo stesso tempo lasciando intatto il cuore essenziale della traccia stessa. E ne è venuto fuori un mezzo scandalo.
I remix sono diventati la norma nella musica dance, quella contemporanea e quella del futuro grazie anche alle nuove tecnologie, e donano ai brani la capacità di attrarre molti generi musicali, trend, target o luoghi deputati al ballo diversi tra loro. Ecco come potrebbe concludersi, una Piccola lunga storia del remix…
E si fa presto a dire remix: spesso alcuni includono e mettono in evidenza artisti terzi, quindi aggiungendo nuovi cantanti o musicisti al mix originale (bypassando la definizione featuring). Succede con l’hip-hop, il rap, la trap e l’R&B. Una barra in più nella stesura e si parla di remix. Mariah Carey ha contribuito a rendere popolare la moda di avere un rapper come attore principale attraverso le sue canzoni di metà anni ’90, come accadde con “Fantasy” Remix con Ol’ Dirty Bastard. Ed è successo anche con Puff Daddy per creare da zero il remix ufficiale firmato come Bad Boy.
Con quel singolo poi la cantante è andata oltre riregistrando in studio più volte la sua voce per i remix in chiave house e club curati da David Morale tanto da crearne quasi uno standard per star come del soul come Missy Elliott, Beyoncé, e pop come Britney Spears, ‘N Sync e Christina Aguilera. Il singolo principale, con video annesso, di “I Turn to You” di Melanie C è stato pubblicato come Hex Hector Radio Mix. Hex Hector con quel lavoro ha vinto il Grammy 2001 come Remixer dell’Anno. “I’m Breathless” di Madonna contiene un remix di “Now I’m Following You” che alla fine è stato utilizzato per passare in modo maggiormente morbido dalla traccia originale a quella successiva, ossia “Vogue”. Frankie Knuckles ha dettato il tempo con i suoi Def Classic Mix rinverdendo “Change” di Lisa Stansfield.
William Burroughs utilizzò la tecnica del cut-up sviluppata da Brion Gysin per remixare il linguaggio negli anni ’60.
Varie fonti testuali asserirebbero che Burroughs tagliava letteralmente a pezzi con le forbici i testi riorganizzandoli su una pagina di un notes per formare nuove frasi, nuove idee, nuove storie e nuovi modi di pensare alle parole. “The Soft Machine” (del 1961) è un lampante e noto esempio di uno dei primi romanzi di Burroughs basato sulla tecnica del cut-up. Il remix di letteratura e linguaggio è evidente anche in “Pixel Juice” (2000) di Jeff Noon che in seguito spiegò l’utilizzo di metodi diversi per questo processo con “Cobralingus” (2001). Un remix nell’arte spesso assume più prospettive sullo stesso tema e crea infinite linee temporali, come nella TVA della Marvel e della serie Loki.
Un artista prende un’opera d’arte originale e aggiunge la propria interpretazione dell’opera creando qualcosa di completamente diverso pur lasciando tracce dell’opera originale.
Si tratta essenzialmente di un’astrazione rielaborata dell’opera originale. Pur mantenendo i resti del pezzo originale e lasciando trasparire i veri significati del pezzo originale. Esempi famosi includono “Il Ddittico Marilyn” di Andy Warhol (modifica i colori e gli stili di un’immagine) e “La Donna Piangente” di Pablo Picasso (unisce vari angoli di prospettiva in un’unica vista). Alcuni degli altri famosi dipinti di Picasso incorporano anche parti della sua vita, come le sue relazioni amorose, nei suoi dipinti. Altri tipi di remix diventano parodie. Weird Al Yankovic e Allan Sherman sono stati padroni in questo campo. Se nel 2003 anche la Coca-Cola ha messo in commercio una nuova versione della Sprite chiamata Sprite Remix e Sega ha fatto lo stesso con Virtua Fighter Remix significa che il termine e la prassi hanno sfondato ogni barriera. Il remix e la sua arte oggi sono ovunque.