Mashup, ma… shop / Sada Says

Mashup, ma… shop. Capito? E prima di farvi leggere tutto l’articolone vi diamo la geniale definizione di mashup del maestro Ricky Sada, che qui mi sembra non la usi, come tutti i maestri. “Produrre un mashup è come mettere il Grana sui Quattro Salti in Padella e sentirsi chef”. Bene, detto questo, leggete tutto quanto…

Il mash-up è una composizione musicale che fonde elementi di due o più canzoni preesistenti per creare un nuovo brano. Questi elementi possono includere: vocals (linee vocali), instrumentals (strumentali), beats (battiti), e melody (melodia). Il mash-up permette ai produttori di esplorare generi diversi, creare nuove atmosfere musicali e rendere omaggio alle canzoni originali in modo innovativo. È a volte identificato come bastard pop/rock o bootleg. I mash-up creano opere derivate e devono ottenere il permesso dai titolari dei diritti delle canzoni originali (autori, compositori, case discografiche, editori musicali). E allora? La distribuzione digitale senza licenze appropriate può comportare rimozione del contenuto e azioni legali.

L’uso commerciale senza permessi può portare a sanzioni severe. E allora? Negli anni cinquanta-settanta, pionieri come Bill Buchanan e Dickie Goodman, Frank Zappa e John Oswald hanno sperimentato il montaggio sonoro. Negli anni ottanta e novanta, musicisti come Double Dee & Steinski, Negativland, Solex e Daft Punk hanno continuato a sviluppare il mash-up. E allora?

E allora si arriva ai tempi difficili dove la riduzione dei costi dei computer ha diffuso il mash-up, diventato popolare tra i dj e che ha ottenuto non una certa legalità bensì riconoscibilità.

Tra le controversie legali ci sono sempre “The Grey Album” di Danger Mouse, che combina “The White Album” dei Beatles e “The Black Album” di Jay-Z, soggetto a diverse beghe legali. Girl Talk utilizza molti campioni in ogni traccia affrontando critiche e minacce legali. Il mash-up continuerà ad evolversi grazie alla crescente accessibilità della tecnologia di produzione musicale e alla creatività degli artisti. I principali punti di sviluppo includono: tecnologia avanzata, l’uso di software sempre più sofisticati renderà più facile e innovativa la creazione di mash-up, di quelli fatti da poveri di portafogli ma forse da ricchi come colpo di genio, forgiati con l’intelligenza artificiale e il machine learning che potrebbero svolgere un ruolo cruciale nel futuro della pratica stessa.

Permettendo combinazioni musicali più complesse e personalizzate, il mash-up si è venduto prima, svenduto poi, quasi in una forma di prostituzione sonora e di mercato. La sua diffusione digitale e i social hanno continuato a essere strumenti chiave per la sua promozione e la sua diffusione trasformandolo da culto da laboratorio underground a pop-art quasi warholiana, quindi da mash-up a mashop, store contemporaneo di sovrapposizioni… E quindi, Mashup, ma… shop.

Mashup, ma… shop. Capito?

Mi chiedi se mi piacciono i mash-up? Dipende e non da chi li fa ma cosa provocano, che effetto rilasciano sulla pelle, nelle orecchie e nel cuore. La crescente popolarità dei contenuti video brevi su piattaforme come TikTok che potrebbe alimentare ulteriormente la creazione e la condivisione di mash-up ha solo generato maggiore confusione e quindi ha sotterrato le chiavi di quelle gabbie che assicuravano il sigillo al recinto. Ma i buoi sono scappati e oggi chiunque non solo può fare un mash-up sotto la docca ma anche buttarlo nella mischia del web e renderlo virale. Siamo in troppi e facciamo troppo.

Poi, con l’aumento delle collaborazioni ufficiali tra artisti e l’uso di remix legali, i mash-up diventano sempre più parte integrale delle strategie di marketing musicale, con artisti e case discografiche che potrebbero vedere proprio questa pratica come un’opportunità per esplorare nuove modalità creative e raggiungere nuovi pubblici.

C’è il featuring, l’associazione di valore, l’uno più uno? Bene, non è una somma delle parti anche un mash-up? Sebbene ci siano state casini nelle aule di tribunali per certi (mancati) sdoganamenti di copyright, il quadro giuridico potrebbe evolversi per meglio accomodare la natura derivativa del mash-up stesso. Come? Magari con le licenze collettive (collaborative) e con le piattaforme di gestione dei diritti d’autore che potrebbero facilitare l’uso legale dei campioni.

Mashup, ma… shop. Capito?

Il mash-up potrebbe espandersi oltre i confini della musica pop e hip-hop, incorporando elementi di musica elettronica, classica, jazz e altri generi, portando a una ricchezza di nuove espressioni musicali. Molti lo fanno e molti sconfinano. Spappolano un groove, lo rigurgitano in wave e se lo cantano e se lo suonano.

Mashup Ma… shop. Chiaro?

Un mashop è solo una crasi ma potrebbe anche essere una fusione tra un mash-up musicale e un’integrazione commerciale, mica solo un audio sopra un audio come fosse un amplesso sonoro. Immaginiamo un progetto in cui si combinano due stili musicali iconici, come il synth-pop degli anni ’80 e l’hip-hop contemporaneo, creando un album di mash-up che viene rilasciato insieme a una linea di abbigliamento ispirata a un’estetica retro-futuristica. Questa linea potrebbe includere giacche dai colori neon, magliette con testi dei mash-up e accessori come borse a forma di boombox. Quindi lo shop va oltre, dilaga, scappa, corre negli store e si libera delle note musicali, del suono, del flow, del groove. È comunque bello quando il mashup suscita opinioni contrastanti, apre il dibattito, enfatizza la divergenza e la visione tra i professionisti del settore. Fabrizio Martinotti è un dj con la passione per l’elettronica, ha studiato Electronics and Communication engineering presso l’Università degli Studi di Pavia, come recita la sua biografia su Facebook, ebbene, sottolinea che “massimo uno a serata, sì… oltre no… se fatto bene, fatto live… effettivamente, abbia un senso logico nella fusione dei due brani e nel contesto del set”.

Poi, ci sono quelli che i mash-up li vorrebbero vendere attraverso DistroKid? Esistono. Sono in mezzo a noi.

Max Millan ricorda con nostalgia che i mash-up era “figo” proporli live (“che bei tempi abbiamo vissuto”). Alfredo Magrini celebra i Cut Up Boys, notando che “ci sono passati tanti produttori di ogni genere dalla serie Ministry delle annate 2009-2011”. Dan Bernardini d’Arnesano esprime scetticismo: “Io, onestamente, nei mash-up credo poco. Uno ogni tanto ci sta, magari, se ci si riesce, unendo due pezzi di epoca diversa. Unire due hit ti fa bruciare due pezzi forti contemporaneamente; soprattutto quando di brani interessanti ce ne sono pochi e la gente non li regge per più di tre minuti. Gestire le hit è fondamentale. Discorso diverso per la radio, chiaramente”.

Raoul Girometta offre una visione sintetica e futuristica: “L’ADV è il prodotto”. Dariush Fattahi suggerisce un’idea provocatoria: “Perché dovrebbero fare un test cognitivo presso strutture specializzate, chi li realizza”

. Infine, Valerio Reali: “Bootleg, mash-up poco o nulla, quelli fatti bene funzionano”. Le opinioni sono molteplici e contrastanti. Dimostrano come il mash-up rimanga un tema caldo nel panorama musicale attuale e come i saldi di fine stagione possano portare prima allo sfinimento e poi al ribasso di tutto il comparto.