Certo, la vacanza con discoteca è morta come dice Riccardo Sada, MITICO, in Sada Says, ma la discoteca è tutta morta? Come le osterie di Guccini?
Le vacanze, quelle di una volta, che si facevano andando a Rimini e Lloret de Mar, da Benidorm ad Ayia Napa, sono morte e sepolte per i Millenials. Che snobbano le vacanze edonistiche in favore di viaggi-lampo culturali. Quelli della Generazione Y non trascorrono più le notti alterne a comprare shottini di Jägerbomb. Le generazioni si danno il cambio come delle staffette. Quel tipo di clubbing un po’ gitano è in lento declino. L’agenzia di viaggio Thomas Cook, che possedeva il marchio Club 18-30 prima di decidere di abbassare le serrande del brand nel 2018, ha detto che le sue tre destinazioni principali per i giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni sono diventate città come Budapest, Amsterdam e Cracovia. L’unica destinazione tipicamente club nella sua Top Ten è Faliraki a Rodi, in Grecia, un posto ben lontano dallo spirito di Ibiza, Mykonos, Dubai o Miami.
Ecco, Ibiza, Mykonos, Dubai o Miami sono un’altra cosa, un altro campionato e una parentesi da non aprire, almeno non qui, dove si parla di divertimento e intrattenimento privo di cartellonistica hollywoodiana pronta a spararti la propaganda basata su nomi di artisti dai cachet altisonanti. Le vecchie città festaiole cercano così di reinventarsi, arrancando, a volte inciampando. Magaluf è salita alla ribalta per un festival della letteratura e nuovi hotel di lusso, nel tentativo di spostare l’attenzione dagli adolescenti ormonali. Nel frattempo, Ibiza, si diceva, diventata così esclusiva e cara come il fuoco che o fai il barbone e vivi male o sei nella classe agiata e sbocci ogni sera in qualche villa lontano dal Pacha o dal Café del Mar.
Ma la discoteca è morta?
C’è sempre meno gente che applaude al tramonto sugli scogli di Sant’Antonio davanti al Mambo. Stiamo in Spagna: Barcellona tira quando c’è il Primavera Sound o il Sònar. È una pura coincidenza che l’inizio della scomparsa delle discoteche da vacanza mordi-e-fuggi sia stata annunciata contemporaneamente alla consacrazione dei festival. Molte discoteche nel Regno Unito sono diventate appartamenti o supermercati, in Italia magazzini per manovalanza dell’industria cinese o palestre. In passato si puntava a un luogo partendo dalle discoteche che vantava nel proprio palmares, oggi è tutto il contrario, si parte dall’experience, si dà un occhio a cosa possano offrire i cartelloni e si sverna nella località preferita, non più discocentrica.
Chiaro, le vere ragioni per cui i club stiano chiudendo è da ricercare nel fattore economico e al vil denaro. E quindi, quante persone vanno nei club alla ricerca di una storia d’amore quando l’intero globo è accessibile sulle piattaforme di incontri? E ancora: quante persone vanno nei club alla ricerca di sostanze stupefacenti quando l’intera città è ricca di offerte e le droghe si consumano nelle palestre, negli uffici, nei parchetti, ovunque? Quante persone vanno nei club ad ascoltare musica nuova quando tutto il web con le sue dsp carica e scarica milioni di tracce? Quante persone vanno nei club alla ricerca del miscelato perfetto o dell’ubriacatura a basso costo quando è possibile saltare facilmente da una vodka di un discount a un signature cocktail di qualche bartender assurto alla fama come una rockstar?
Ma come Valerio Reali, dj e produttore di stanza a Londra riassume la faccenda? “Una volta c’erano le discoteche, erano il centro di tutto“
“Si ricordano tanti nomi di locali – continua – ma non tutti ricordano chi erano i dj: poi è venuto il tempo che le due cose hanno iniziato a viaggiare di pari passo (Ricci e Cirillo al Cocoricò); poi è venuto il tempo della special guest a tutti i costi (sempre più crescenti), il proliferare dei festival (parchi giochi costosissimi) che naturalmente offrono pacchetti con super dj, visual, fuochi d’artificio, esperienza unica da condividere con amici reali ma anche virtuali. La discoteca non ha mai potuto offrire tutto questo perché era altro. Ed era bella perché era altro. Se si chiede a un ragazzo di spendere 100 euro a settimana per andare in discoteca, o risparmiare quei soldi e andare a un festival una tantum, quello ti risponderà il festival. Forse c’è ancora spazio per i super club ma molti hanno una data di scadenza”.
Ma la discoteca è morta davvero?
Le comunità intanto continuano a nascere e crescere e si muovono velocemente e non hanno bisogno di tetti. La morte della discoteca è triste e inevitabile, quando queste vogliono sfidare i festival con line-up che hanno un costo da cui non rientreranno mai. Il settore è in difficoltà. Gran parte dell’ecosistema della vita notturna sentiva già le campane a morto ben prima della pandemia e la pandemia è stata semplicemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nico De Ceglia, sempre da Londra, aggiunge: “Per noi i club e quel senso di esser parte di una comunità che si creava intorno ad essi erano una fuga dal resto, da quello che era massificato. Le nuove generazioni invece rincorrono il massificato che i social divulgano perché vogliono sentirsi parte di quello, e purtroppo festival and co hanno più potere attrattivo in quel senso”.
Anche negli Usa i nightclub si stanno tranquillamente e frettolosamente reinventando a partire da Las Vegas e passando da Miami, da New York sino a Chicago.
Gli hipster e i nuovi ricchi a stelle e strisce sono sempre più alla ricerca di loft, attici, penthouse e lounge più intimi. La privacy costa cara e loro se la possono permettere. Gli imprenditori della notte e i proprietari di piccoli e medi locali hanno investito in luoghi che possano supportare tariffe così assurde che i tavoli per VIP sono diventati una priorità. Il boom dell’EDM negli Stati Uniti è imploso e ha trascinato con sé i dj, i loro impresari e tutto il carrozzone.
Mentre si allarga il taglio della forbice sul mercato, con dj da 50.000 dollari o euro da una parte e dj da 50 dollari o euro dall’altra, ci si chiede che fine farà la classe media che popolava il comparto. Senza contare altri tagli, quelli che arriveranno dall’introduzione dell’intelligenza artificiale, che ridisegnerà tutto e costringerà molti a ricostruirsi in altri lidi e ambiti la propria carriera.
Allora aveva proprio ragione l’indimenticabile Claudio Coccoluto dalle pagine (e dalla copertina) di DJ Mag Italia, quando sentenziò che il club ormai era morto.
È sempre il momento, per i proprietari dei locali, di guardarsi attorno, differenziare, pensare a rilanci e cambi di passo, senza contare a programmazioni musicali originali, offerte sul fronte della ristorazione e della mixology concorrenziali. Perché il futuro è imprevedibile e l’imprevedibilità spinge la clientela a optare per scelte dell’ultimo minuto. Tutto è veloce. Tutto è il contrario di tutti. Ancora una volta siamo alla rivoluzione del comparto, una sfida per i giovani ma una pugnalata sul collo a chi viveva di certezze.
(Riccardo Sada x Sada Says x AllaDiscoteca)