Il clubbing è un grande affare, eccoci col titolo del nuovo capitolo della saga Sada Says, by Riccardo Sada, che AllaDisco ospita con orgoglio…
L’enorme quantità di contenuti creati sui social da chi frequenta in modo passivo e attivo il clubbing ha portato gli esperti di affari a investire e speculare sul comparto.
Mentre la musica da club è sempre più diffusa grazie ai dj, l’alta finanza si frega le mani consultando il report annuale redatto dall’IMS. Nonostante lo stop dovuto alla pandemia, il mercato è vivacissimo e i flussi dei capitali e dei fondi di investimento verso il mondo dei locali notturni, dei festival, dei promoter e delle piattaforme tecnologiche pertinenti è costante. Vip, società di private equity e venture capitalist sono entrate ormai nel segmento. Il miliardario francese François-Henri Pinault si è dimostrato interessato più volte a Creative Artists Agency, per anni luogo preposto di Dawn Richard, Daft Punk, Amelie Lens e Eartheater; FIVE Holdings da Dubai ha fatto la corte al Gruppo Pacha, Superstruct Entertainment gestita da Providence Equity Partners ha acquisito ID&T per un valore compreso tra 150 e 200 milioni di dollari.
I professionisti dell’industria musicale affermano che questi professionisti dalle tasche infinite sono attratti dagli alti tassi di coinvolgimento, dal potenziale di integrazione tecnologica, dalla preferenza dei consumatori per esperienze coinvolgenti, oltre alla traiettoria di crescita della vita notturna in ripresa.
Mentre gli investimenti istituzionali possono stimolare l’occupazione e ampliare le infrastrutture, questo flusso di liquidità commerciale potrebbe comportare per il clubbing più rischi che benefici.
I critici sono particolarmente preoccupati per l’impatto sulla programmazione musicale e sui prezzi dei biglietti, per non parlare dello spostamento della musica dance dalle sue radici nella controcultura fai-da-te. Le formazioni omogenee rappresentano già una grave lamentela e con i giocatori più attenti al profitto coinvolti, il problema è destinato solo ad esacerbarsi, eliminando nel processo gli operatori indipendenti. È una specie di gioco del gatto e del topo in cui le aziende sono costantemente alla ricerca dell’esclusività e del valore aggiunto. I più attenti osservatori delle tendenze tengono il dito monitorano la situazione e l’andamento della cultura giovanile in modo da poter trarre vantaggio delle grandi novità.
Le corporazioni confidano nella visione artistica e aiutano a modellarla, a trasformarla in qualcosa di redditizio. Il consolidamento aziendale è da decenni un tema ricorrente nell’industria musicale, in particolare tra le etichette discografiche.
Da Warner Brothers che acquistò Atlantic ed Elektra negli anni ’60 e ’70 alla BMG che acquistò RCA negli anni ’80 fino agli anni ’00, quando la Sony rilevò BMG e Universal acquisì EMI, gli interessi aziendali hanno a lungo controllato la musica registrata. È una storia simile con i promotori. Negli anni ’90, il magnate newyorkese Robert FX Sillerman di SFX Entertainment, una società che alla fine si trasformò in Live Nation, intraprese numerose acquisizioni su larga scala di giocatori indipendenti. Tuttavia, secondo molti addetti ai lavori, l’attuale ondata di investimenti istituzionali nella vita notturna sembra sia in evoluzione. Le trattative si sono tradizionalmente concentrate su precisi settori, nonostante ciò i finanziatori sono sempre alla ricerca di strade che combinino vari interventi verticali dell’industria musicale aumentando al contempo le entrate medie per cliente.
Le aziende pretendono un sistema di distribuzione interconnesso con i social media, servizi di biglietteria o di livestreaming, di assistenza attraverso l’intelligenza artificiale o la realtà virtuale. Anche i media specializzati sono in fase di riorganizzazione, perché è folle non comprendere quanto sia importante la comunicazione del comparto.
Senza contare la decantata experience del clubbing. Quando si partecipa a un festival o si entra in un club, l’esperienza è quella di un’occupazione totale di uno spazio esplorando la relazione dello stesso con il design, il quartiere ospitante, il cibo, la moda e attività non musicali ma legate ai trend come i tatuaggi o il benessere.
Insomma, l’esperienza deve essere culturale e completa. C’è una chiara proposta di una cultura del territorio guidata dall’identità locale ma aperta al nuovo e al mondo, versatile e orizzontale.
Un altro sviluppo importante che differenzia l’attuale slancio del mercato rispetto agli anni precedenti è la dilagante monopolizzazione.
Con la pandemia che ha spazzato via un’enorme fetta di operatori indipendenti della vita notturna in tutto il mondo, tutto è cambiato, lo sanno bene quelli di Live Nation e quelli di Insomniac Events. Senxa contare che i mercati e le offerte cittadini di luoghi come New York, Londra e Berlino sono saturi. E rispetto alla domanda, ci sono pochi attori dominanti che possono monopolizzare la scena e offrire prenotazioni di livello. Se vuoi un dj superstar devi opzionarlo mesi e se non anni prima. I compensi e le commissioni degli artisti quindi sono alle stelle e addio ai punti di pareggio per gli investitori.
Il rischio è sempre altissimo e la deblacle è dietro all’angolo. Gli aspetti economici legati alla gestione di un locale indipendente sono molto diversi da quelli di un festival o di un grande evento temporaneo e le grandi agenzie che rappresentano i veri talenti non fanno differenza tra i due. Sei piccolo? Sulla carta ti puoi permettere un artista piccolo. Anche quelli che erano definiti come mercati emergenti, come la Cina e il Medio Oriente, hanno ormai leggi fiscali complesse e regole che possono mettere in difficoltà le Americhe e il Vecchio Continente.
Indipendentemente dagli obiettivi finanziari, i destinatari degli investimenti sono obbligati a fornire risultati per soddisfare le parti interessate. Ed è stress continuo.
Intanto, il dominio delle multinazionali nella dance ostacola fondamentalmente la crescita di nuovi movimenti e nuove sottoculture.
Molte società confidano nella visione artistica d’insieme e aiutano per trasformarla in realtà. Molti poi temono che la presenza di stampo aziendale nel settore possa cambiare il livello di percezione soprattutto per gli artisti underground e le comunità maggiormente emarginate. Se le persone che non capiscono le origini della musica dance fossero coinvolte nel processo decisionale, alla fine chi ne pagherebbe sarebbero i gruppi più piccoli. Gli eventi musicali indipendenti hanno maggiori probabilità di raggiungere le comunità e di avere relazioni emotive durature. Gli interessi aziendali però potrebbero non essere così disposti a farsi rimettere in discussione nell’arte e nella musica o in comunità.
Ciò che preoccupa maggiorente è che le persone non potranno permettersi di andare a vedere i loro artisti preferiti e che questi investitori e aggregatori di business daranno forma a ciò che vedremo e a chi potrà vederlo. Ci sono degli investitori che affermano di concentrarsi più sullo scopo che sul profitto. Vero. Per molti imprenditori legati al mondo della cultura, i venture capitalist sono il male, rendono tutto finto e poco rispettoso nei confronti di un genere come l’elettronica. Per evitare l’afflusso delle aziende, i club, i festival e le restanti attività necessitano di fonti di finanziamento alternative.
Le organizzazioni autonome decentralizzate, che si basano sulle reti blockchain e sul modello cooperativo di proprietà collettiva, sono pubblicizzate come una soluzione a lungo termine.
Ma fino a quando i sistemi Web3 non prenderanno piede, saranno necessarie soluzioni più immediate. I finanziamenti pubblici sono spesso la risposta più ovvia e immediata. La mancanza di sostegno da parte delle istituzioni e dintorni è stata una delle ragioni principali per cui molti operatori di locali e super eventi siano andati sull’orlo della bancarotta. Senza l’aiuto di appassionati ed empatici player privati, o senza quello del settore pubblico, la corporatizzazione è destinata a consolidarsi.
La vita notturna e la musica dance stanno diventando un mercato molto più grande di quello che si pensi, in termini di valore.
(Riccardo Sada x Sada Says)