Che palle, che noia, che barba, che palle (mi ripeto) sorbirsi la storia di musica pensata per durare poco… che palle.
Che noia chi mitizza periodi in cui era tutto come oggi, solo che eravamo giovani e/o ricchi noi come Blanco o Capriati, per cui stiamo qui a raccontare storie su un passato che non c’è mica stato se non nelle nostre (noiosissime) testoline.
Però come inizio è un po’ troppo forte e poco de curtura. Iniziamo così, va.
Quando il jazz entrò nei musei iniziò a morire, o forse era già morto (Gianpiero Cane, prof. di Civilità Musicale Afroamericana, anno 1995 circa, a Bologna)
Ecco, vedi, ora abbiamo tutto un altro allure. Da laureatissimi. A differenza di quasi tutti coloro che scrivono e commentano qui e sui social, chi firma qui è laureato in Musica, al Dams di Bologna, anno Domini 1996, 106/110 (certo, un voto un po’ così, però ero molto bello). Per questo, rifletto su certi temi, tipo la musica che muore e rinasce oppure muore e basta da qualche decennio. Non è che arrivo chissà a quali conclusioni geniali, però se ad un argomento si pensa per anni, a volte si trova qualcosa di dire che non sia del tutto banale. Ho poi tanti difetti, migliaia, ma banale mai.
Tipo: “proteggiamo la dance del passato che non si balla più, cataloghiamola, rimettiamola in pista, celebriamo i locali che l’hanno fatta nascere“. Sono tutte cose molto belle da dire e dire e da pensare, però decisamente naif. La musica cambia e la musica vecchia va quasi sempre a finire nel cesso. Non se la ricorda più nessuno. Per un Bach (ricordato comunque solo da una minoranza di noi), ci sono centinaia di suoi contemporanei validi giustamente dimenticati. Almeno la metà delle lingue del mondo sta scomparendo. Entro 500 anni gli italiani non ci saranno più, dice lo storico Barbero, e chi se ne preoccupa non ha gli strumenti culturali per capire che è ovvio che sarà così.
Mi interesso a queste cose, la storie delle cose belle e delle cività e dell’arte, da prima di dovermi sorbire noiosissime eppur splendide storie dedicate ai precursori della house in Italia. Meritorie? Certo. Noiosissime? Per me senz’altro. Già mi annoiano le premesse su Facebook. Leggo un po’ ma poi mollo. W chi fa la storia di ciò che viene logicamente dimenticato, certo, ma io ci sto abbastanza lontano.
Sto bene così. Preferisco ascoltarmi Barbero sul medioevo e poi andare a vedere i ragazzi che ballano oggi che rievocare i bei tempi delle disco in cui ballavo io. Ballavo male e avevo lo spencer. Avete presente lo spencer? Quello tipo Bros. Madonna mia che pena (per me). Li vedete nella foto i Bros. Dimentichiamoli di nuovo che è meglio.
Qui sopra su Decadance, più o meno, si dice che le sonorità arrivarono prima dell’arrivo della house in Italia nel 1989 mi dicono (c’ero e ballavo, ma mica mi ricordo la data precisa. Avevo altro da fare)… E quindi ripeto: che palle. Certo è poco elegante, ma per me è così. Dhe palle.
Mi piacciono le interviste, mi sono commosso leggendo la storia di Claudio Coccoluto e la sua “Belo Horizonti”, uno splendido zanzamento, ma di quelli “de curtura” com’era il nostro Claudio… Ho scritto il comunicato di una “cover” di quel brano partendo da una bella intervista di Giosuè Impellizzeri. Faccio auto copia incolla (remix e cover compresi)
(…) La parte melodica strumentale (del nuovo brano che qui tralascio tanto non conta) è impossibile non averla già nelle orecchie, visto che è quella di un classico dance nato nel 1997 reinterpretando “Tombo in 7/4” di Arto Moreira. In quell’anno arrivò sul dancefloor dei club in versione house in “Belo Horizonti”, brano firmato da Claudio Coccoluto e Savino Martinez, ovvero The Heartist. Pochi mesi dopo, la stessa melodia, in versione pop dance, diventò Bellini – “Samba De Janeiro” (…).
E’ poi ovvio che Coccoluto e Martinez fecero un capolavoro mentre “Samba de Janeiro” è una mezza ciofeca. Non c’è manco bisogno di scriverlo. Manco di ricordarlo. O forse sì? Non lo so. So che io, di solito, ho altro da fare.
E’ importante fare la storia di queste piccole cose? Senz’altro sì. Non chiedete però a me di farla o di esserne particolarmente interessato. Ho altro da fare.
In ambito house in Italia a fine anni ’80, arrivò prima, se mi ricordo bene (parlo dei locali ‘commerciali’, ovvero il 95% di quelli della mia Toscana). Arrivò prima Steve Silk Hurley, poi arrivo “Pump Up The Volume” dei M.A.R.R.S. e la musica cambiò. Tra i capolavori Made in Italy in ambito house & co di quegli anni (più o meno di quegli anni) ancora oggi almeno un po’ ballati, pochissime canzoni, tra cui “Ride on Time” dei Blackbox e “Rich in Paradise” degli FPI Project. Il resto, è così e c’è poco da fare, se lo ricordano in pochi.
Anche la bellissima “Touch Me” dei 49ers è (come i pezzi precedenti del resto), è uno zanzamento pressoché totale delle voci di due super cantanti black con sotto una base che levati (Aretha Franklyn e la meno nota e decisamente meno brava Alisha Warren). Il lavoro di Gianfranco Bortolotti e dei suoi musicisti in studio fu dare un’energia pazzesca a musica che era bella sì, ma un po’ troppo “chic”. I 49ers spaccano ancora oggi, ma purtroppo se li ricordano in pochi.
Oggi, è ovvio, uno energetico zanzamento di questo tipo sarebbe impossibile ed è il principale motivo della fine della dance italiana. Non si può più zanzare impunemente. E troppo spesso i produttori e i dj sono convinti di fare qualcosa di importante e storico ed eterno, mica divertente che gli fa fare un sacco di soldi e fa “solo” ballare. Chi, come i DJs from Mars, i re dei mash up, invece lo fa, vince. Perché, ripetiamolo, i re degli zanza siamo noi. E fare la storia di tutto questo, accidenti che noia. Che palle. Per me.
(Lorenzo Tiezzi x AllaDisco)