Brescia, questa settimana Riccardo Sada ci regala un excursus molto personale su Brescia e sulla sua dance, ma non solo. Da leggere tutto d’un fiato, per chi c’era, c’è stato e soprattutto, per chi ci sarà. Perché le persone contano molto meno della musica.
Non ho abitato in tutte le città del mondo che ho visitato. Però ho abitato per circa due anni in una delle più visitate per lavoro ed è italianissima: Brescia. Brescia è quella città che o ti sta sulle balle subito oppure la comprendi e la accetti. Magari non la ami ma la rispetti, perché è tanto operosa, una specie di mini Tokyo in versione industriale, rurale e rupestre a causa dei suoi speciali abitanti. Gente chiusa ma aperta al dialogo. Qui tutti pensano a lavorare, a fatturare e a sviluppare anche nuove tecnologie. Camuni 2.0. Brescia è una Milano con una contenuta vita notturna, perché qui agli autoctoni piace solo svernare nei fine settimana sui monti e in riva al lago di Garda.
Abitavo inizialmente in via Lana, vicino alla vecchia sede del negozio di dischi Deejay Choice, a due minuti a piedi dalla Pallata, una torre in mattoni di origine medievale in pieno centro storico. Pagava affitto, luce e gas Media Records, del mega appartamento di quasi cento metri quadri che poi ho condiviso con il simpatico dj persiano Dariush. Mettiamolo subito in chiaro, a Brescia la forbice economica si è fatta sentire e molto, come in tante grandi città, dagli anni Novanta in poi: da una parte ha visto crescere il numero di ricchi e dall’altra molti poveri. Nonostante ciò, tutti nell’area hanno un loro mondo e un loro decoro.
Potrei elencare tutti i bresciani di città e provincia che conosco e staremmo qui sino a domattina. Quindi? La maggior parte sono benestanti, sono quelli a cui sta molto sul culo Milano (ma non lo ammettono). Nel capoluogo lombardo ci fanno sì una capatina ma se interrogati poi confessano di essere stati a Verona a farsi l’aperitivo guardando l’Arena o a comprare un abito in via Mazzini. Milano ai tempi era argomento tabù.
Il bresciano medio non prende la metropolitana, parla con fare affranto del quartiere Carmine, la lascia ai giovanissimi e a chi cade spesso dal monopattino, invece prende il Suv e va spedito in centro (spesso è in San Babila a Milano a cercare un parcheggio, ndr), sconfina in piazza Arnaldo, dribbla tutti i pedoni in corso Zanardelli, fa un giro al Castello sperando di trovare Fabio Volo che rilascia interviste sulla sua vita da ex panettiere o Francesco Renga che riallaccia i rapporti con Ambra.
Invece, trova il solito: il parcheggio selvaggio e lo struscio vicino ai portici. Nient’altro. Perché la classe operaia non sogna Piazza della Loggia e non va nemmeno in paradiso. Va al Centro Commerciale Elnòs a Roncadelle. E qui ti voglio. È qui che parte tutto ‘sto pippone su Brescia, i bresciani e hinterland. Suoni a traffico illimitato.
Professionalmente, sul fronte musicale, sono nato nel tardo giugno del 1996 all’uscita Brescia Ovest dell’autostrada, a Roncadelle, comune di novemila abitanti che per tanto tempo ha avuto una specie di sindaco onorario in Gianfranco Bortolotti, patron e fondatore di Media Records.
Il mio terremoto lavorativo ha avuto come epicentro un hotel che esiste ancora, si chiama Continental, un quattro stelle in cui questo Bortolotti teneva incontri, inscenava siparietti, dispensava suggerimenti e riservava battute a clienti e curiosi appartenenti o no al mondo della discografia.
Qui venivano tutti, Stock, Aitken e Waterman, Pete Tong, Tom Yoda di Avex e i maggiori dj italiani come Coccoluto. Qui mangiava Mauro Picotto a fianco di Gigi D’Agostino, qui Mario Più disquisiva di techno con Joy Kitikonti, ai tavoli della zona adibita a ristorante sono nati amori e odi, qui sono state fatte audizioni, il tutto a pochi metri dai prima nove e infine quindici studi di registrazione con uffici annessi di Media Records.
Se Fonzie aveva il suo ufficio nei bagni di una tavola calda, Bortolotti faceva tutto nell’hotel a fianco, nonostante avesse un ufficio presidenziale tutto suo. Boh.
Eppure, qui sono finito a lavorare, prima a fare le fotocopie, poi a fare la promo e infine a diventare il capo della comunicazione con diverse persone sotto.
Nel 1996 Brescia era finita sotto una pioggia di dischi d’oro e di platino e non solo per merito di Media Records ma anche di altri brand. Era all’apice della discografia indipendente dance e solo chi c’era lo può raccontare. Io c’ero, ho molti testimoni e infinite prove che mi vergano la pelle come tatuaggi. Nel 1996, c’era (e c’è ancora, oggi) un’etichetta come Time Records e tra noi era come Milan e Inter, Coppi e Bartali.
C’era (e c’è e non c’è, dipende dalle intenzioni del suddetto Bortolotti, che mostra a tratti uno stranamore nei confronti della musica dance e dei dj, spesso preferiti a rapper e artisti di ogni genere) una realtà come Media Records. C’è (ancora) Rebirth di Daniele Contrini in arte Shield, un folle innamorato della house music raffinata, colta e mai svenduta ai poteri forti. C’erano marchi come DJ Movement prima ed Evento Musica dopo, Melodica, Oxyd, Motivo e Farm. Non è rimasto molto e questa cosa mi rattrista.
Con l’amico Alex Zullo, prima del mio approdo definitivo alla corte di Bortolotti – tra giullari travestiti da musicisti, batterie di leccaluli, scaldasedie, stakanovisti dello studio di registrazione, laboriosi grafici – era divertente partire da Milano e andare in quella che molti avevano definito la Capitale della Dance.
A Brescia trovavi tutto. Davvero tutto. Brescia negli anni ‘90 stava a Milano come per anni Hilversum (Spinnin’ Records, ID&T, ecc) è stata ad Amsterdam: un’isola non molto lontana, prolifica e felice. La Milano da bere ti succhia e ti sputa via ancora come un’oliva dentro un cocktail al Gin Rosa (a Brescia invece si beve lentamente il… pirlo, che non è scritto in maiuscolo come l’Andrea cittadino sugli allori bensì uno spritz fatto con vino fermo).
Milano è un luogo che ti centrifuga e ti vomita, ti usa se non sai sfruttare le sue opportunità, in logiche e strategie di mercato estremo e competizione frenetica, con tutti quei vizi, quelle trasgressioni e quelle distrazioni che solo le metropoli ti sanno dare. Brescia no, il suo animo operaio nel 1996 era onesto, trasparente, senza svaghi e diversivi relegati nel weekend o, come si usava al tempo, con uscite infrasettimanali di sole donne e soli uomini felici ma separati nelle vie cittadine.
Una cosa un po’ provinciale, forse un po’ Qatar contemporaneo, ma chiara, schietta, dettata dalla tradizione. Si fa così. Punto. E poi cosa vuoi tu piccolo milanese qui da noi bresciani che ti diamo la pila (denaro)? Lavora, casso (cazzo).
Quanto tempo è passato. Abbastanza da passare per nostalgici, perché quella Brescia dalle tante case discografiche e la moltitudine di produttori non c’è più. Se fai un viaggio ed esci a Brescia Ovest devi andare a un bar per bere un caffè con la dj Elena Tanz o il collega Shield o l’editore figlia d’arte Vicky Leoni. Puoi incontrarti con il giornalista e pr Lorenzo Tiezzi. Oppure, puoi fare due chiacchiere con un genio delle tecniche di produzione come Alex Marelli o visitare gli studi di registrazione di Paolo Aliberti o di Cristian Piccinelli. Puoi sperare di incontrare un autore come Sissa. Ma è così tutto dispersivo, scollegato. Poi non so. Poi resta il silenzio. Che occasione sfumata. Rinasci Brescia, in fondo l’Italia ha bisogno ancora di te.
Riccardo Sada x AllaDiscoteca