Ahi ahi ahi Spotify. Musica liquida o musica in liquidazione?
Riccardo Sada continua a proporci interrogativi taglienti, nella sua rubrica Sada Says su AD. Le magnifiche e progressive sorti della musica registrata sono poi così magnifiche, se 100.000 tracce al giorno vengono caricate su Spotify e, nei fatti, sono brutte e quasi nessuno le ascolta, manco che le produce? E’ lo stesso interrogativo a cui cerca di rispondere Sir Lucian Grainge di Universal Music qui, su Music Busines Worldwide… E sì, certo, ormai l’Italia è piccola per AllaDisco, siamo a livelli internazionali, assoluti. Voliamo alti, grazie a gente come Sada, Mitch B. (etc etc).
E allora via. Eccoci con Ahi ahi ahi Spotify che inizia con una frase che fa pensare. Leggerla con attenzione è un obbligo.
Lo streaming ostacola la curiosità musicale e Spotify ne è la principale causa.
Le esperienze musicali di produttori e fruitori sono decisamente più dedicate e focalizzate quando ci si allontana dagli aggregatori discografici e contemporanei metodi di distribuzione.
Non è poi così conveniente gettarsi a capofitto nell’oceano dei dati e delle centomila tracce caricate quotidianamente sulle piattaforme. Quando si accede a Spotify spesso lo si fa in modo compulsivo non necessariamente ascoltando cose, magari controllando i primi quindici secondi in attesa di una proposta e premendo lo skip più volte nervosamente. Usare Internet come strumento di ricerca ma non come mezzo di ascolto è la via, direbbe il mandaloriano. La parola streaming è una di quelle cose che viene gradualmente assimilata nel vocabolario di tutti. Ho sempre avuto l’impressione che i bit fossero da poveri e gli atomi da ricchi ma qui si aprirebbe una parentesi più volte aperta sul metaverso e invece sto analizzando la musica liquida.
Le conversazioni su come i mercati digitali rimettano in discussione l’ascolto si sono concentrate a lungo su più versanti.
Le abitudini di ascolto sono particolarmente influenzate dalla playlist dei brani piaciuti su Spotify e così ci si ritrova in un cul de sac e a selezionare sempre più brani unici magari di un artista. Musica liquida o musica in liquidazione? Di cosa stiamo parlando?
Ci sono sempre più artisti che attraverso spettacoli o realtà come Bandcamp vendono cd, vinili e download e alcuni di loro hanno cancellato i propri account di Spotify e di Apple Music.
L’abbandono di un discount come Spotify è una liberazione e un segno di consapevolezza. È evidente la necessità di un cambiamento sistemico nell’industria musicale ripensando al modo in cui le royalties vengono riconosciute dai servizi di streaming e non solo, sino all’espansione dei finanziamenti pubblici per gli artisti. Forse Spotify dovrebbe essere utilizzato come un social network specializzato e non solo come player, sfruttando connessioni e creando nuove collaborazioni. Invece, emerge tristemente solo un atteggiamento passivo dell’utente. Deezer, Spotify, Apple Music o Tidal non sono veri e propri store ma diffusori di dati apparentemente dello stesso valore e i fan questo lo sanno bene ma non ignorano quello che accadrà un domani, semplicemente non ci pensano, sono in una comfort zone che garantirà loro comunque un flusso costante. È inquietante se pensiamo che stiamo parlando di musica e non di portaceneri.
Riccardo Sada per Sada Says / AllaDiscoteca