Perché Sanremo è Sanremo. E noi siamo messi male.
Premessa. E’ un articolo un po’ pesantuccio e riflette le idee di chi l’ha scritto, non è la Bibbia. Se non hai voglia di riflettere un po’ non leggerlo.
Sanremo cresce come rito collettivo. Non è forse così strano che succeda. Avevamo un dannato bisogno di rito collettivo mediatico e leggero. Un rito importante, ricordiamolo, ignorato però, ricordiamolo, alla buona dall’80% degli italiani (11 o 12 milioni se lo sono visto, i restanti 48 no; le partite della nazionale di calcio arrivano almeno a 15 milioni, spesso di più).
Sanremo 2022 è stato un bel rito collettivo che ha unito, ma a livello solo epidermico, le generazioni. Abbiamo bisogno di riti collettivi. Oggi ancora di più, perché vogliamo convincerci che siamo a fine pandemia.
Lo siamo davvero? Boh. Lo è stato l’Expo a Milano, un rito collettivo. Attenzione però a credere che i messaggi o la musica passino davvero tutti comunque da qui. Blanco ad esempio era già PRIMA una star. Tutto il suo tour era GIA’ SOLD OUT anche se ovviamente lo spettatore medio sanremese e anche “l’addetto ai lavori” medio (ormai rincoglionito) non lo sa. Sanremo è una splendida sagra in cui va in scena tutto ciò che è nell’aria, anzi forse sta già cadendo giù.
Prima parlare di musica e show business, parliamo di business, che si sa conta. A Sanremo e non solo.
Il circo dei media aveva però bisogno di celebrarsi e soprattutto di fatturare: sponsor come Costa Crociere ed Eni hanno speso milioni di euro per entrare nelle case degli italiani, così come tanti altri. Una quantità di pubblicità indegna, per Mamma Rai.
Soffermiamoci un attimo solo sui due sponsor principali: Costa, in crisi dopo l’anniversario del naufragio della Costa Concordia e perché le navi sono il veicolo più inquinante che ci sia è tornata sinonimo di italianità e vacanza per famiglia. Bellissimo tra l’altro lo spot con il bimbo che voleva tornare in nave. Ed Eni Gas e Luce, è diventata dopo un attento green washing Plenitude, da Agip Petroli che era.
Poi in Italia il 47% dell’energia elettrica viene prodotto bruciando gas, ma si sa che non conta: Plenitude e tutto diventa eco. Attenzione che Sanremo è stato usatissimo anche Apple, Sky (con la sua fibra), Netflix ed altre realtà dei media che hanno bisogno di mega eventi per pubblicizzarsi perché, tutto sommato, di nicchia. Sanremo serve a tutti i brand.
E ora arriviamo alla musica, dannatamente autarchica italiana, come succede nei paesi in crisi (certo, siamo in crisi, nera direi, alla faccia del PIL, che sale anche grazie al 110% regalato all’edilizia e delle dichiarazioni di Brunetta)
Non ci sono più le superstar internazionali degli anni ’90 (Micheal Jackson, i Queen), gente che a Sanremo non ci sarebbe venuta manco dipinta perché troppo grossa per il piccolo festival. E le poche superstar musicali di oggi (BTS, Drake, The Weekend), semplicemente vedono Sanremo allo stesso modo: perché venirci, se si può far altro guadagnando molto di più e ignorando un paese piccolo e in crisi (economica e demografica) come l’Italia?
E allora via a Morandi & Cremonini & Jovanotti & Pausini & Meduza & Maneskin & Berrettini: Sanremo, come sempre del resto, è una sagra del tortello amplificata ai massimi livello. Non perché la qualità artistica dello show sia bassa, anzi non lo è affatto. E’ la struttura dello spettacolo ad essere paesana, provinciale, italiota. Se a Brescia si facesse la festa della musica bresciana, si invitererebbero Renga, Omar Pedrini, Blanco (che è della provincia) e qualche atleta medagliato a raccontarsi ai propri concittadini… a Sanremo siamo sempre lì, solo che siamo tutti italiani.
Vogliamo gli “italiani top” sul palco. Siamo degni, ancora, della copia trash che fanno di noi i russi per Capodanno.
O forse no. Negli anni ’80 eravamo più particolari. Oggi siamo degni di un paese est europeo qualsiasi. L’Europa a cui dovremmo appartenere per quel che riguarda lo show biz manco ci guarda, con lodevoli e belle eccezioni (Maneskin, Meduza).
Cosa dire sulla musica nell’edizione 2022 del festivàl all’Ariston?
Bravissimi Blanco e Mahmood (leggi tutto qui: tanti voti musicali che ho stilato per ReWriters), che però hanno interpretato un pezzo stile Sanremo, mica “Vita Spericolata” di Vasco Rossi che se ne uscì col microfono in tasca. Sono le perfette “rockstar” familiari, rappresentano bene un’epoca, la nostra, in cui i teen ager sono depressi, non fanno troppo casino.
Bravissima Elisa, discreti o bravi tanti altri e divertente Dargen D’Amico che almeno sul palco si è divertito… Qui puoi leggere tutti i miei voti alle canzoni e ai primi ospiti. Aggiungo 10 a Jovanotti (che non ha citato il suo tour) e Cremonini (che è degno di Dalla) e pure a Drusilla Foer. 8 a Sabrina Ferilli, soprattutto perché non ha fatto la cosa più facile: ergersi a paladina di qualche tematica ‘cool’ pur di fare branding su se stessa.
Passando alla sostanza (Sanremo non è più un programma tv musicale, la musica è meno del 35% di ciò succede sul palco, come minuti di spettacolo dico) ho trovato poi terribile per il settore per cui ancora lavoro la illegale trasformazione del Teatro Ariston in una discoteca.
Con le discoteche chiuse. Ed i concerti fermi. Certo, tra poco giorni, per chi non le frequenta da decenni, riaprono le discoteche… Ma come riapriranno, dopo due anni? Con chissà quante limitazioni. Ancora oggi, le restrizioni italiane fanno ridere: gli stadi, all’aperto, sono al 50% di capienza, ma questo 50% di spettatori è bello attaccato, mentre Sanremo, teatri e cinema restano al 100%, mentre le disco dovrebbero al 50% di capienza, ma con mascherina dappertutto, tranne in pista… ci rendiamo conto? Mascherina dappertutto, tranne in pista. Una scelta totalmente illogica. E’ una scelta che fa si che che le forze dell’ordine possano più o meno sempre decidere quando chiudere e multare… e ovviamente le forze dell’ordine dipendono, in qualche modo, dalla politica, una politica che quanto a gestione del Covid-19 non brilla (e non parlo certo del vaccino, che più o meno funziona).
Ma che conta? Sanremo è una festona di paese nazionale che mette insieme un po’ tutto, in modo innocuo e mediatico. Il mezzo è la tv.
Sanremo ha un bel contorno di “inclusività” e politically correct o poco correct, che è uguale. Zalone, che infatti spacca davvero anche non a Sanremo, ci ha fatto pensare. L’equazione trans – sesso ce l’abbiamo troppo in testa e lui, come sempre rischiando ce l’ha fatta sentire. Il resto è scivolato via, o quasi.
Drusilla Foer è interpretata da un grande attore / attrice e il fatto che ci sia ancora bisogno, nel 2022, di mettere a Sanremo un uomo vestito da donna che giustamente si fa chiamare Drusilla, perché ognuno il proprio nome se lo sceglie… dice molto su Sanremo e su di noi.
Siamo messi molto male. O almeno questo è quel che penso io. A ognuno il suo parere.