Lo raggiungo al solito bar, a due isolati da casa sua. Solo che stavolta la consueta chiacchierata si trasforma in una vera intervista. La prima notizia è quella dell’apertura del concerto barese di Vasco Rossi. Per il dj producer Silvio Carrano è l’ennesimo tassello importante nel giro di poco tempo. Il primo è arrivato a dicembre con la bella cover di People Hold On. Da buon padrone di casa, l’ha pubblicata sulla sua Total Freedom Recordings. Così, anziché inseguire il successo attraverso le etichette degli altri, ha regalato linfa, prestigio e nuove collaborazioni alla sua. Questo senza mai perdere di vista le console più importanti del sud Italia (e non solo, visto che a fine aprile ha condiviso con Martin Garrix il palco milanese del Esthaté Market Sound) e il podcast mixato Total Freedom, sempre più seguito e richiesto in ogni parte del mondo. “Porterò il suono dell’etichetta e dello show nei locali, cercando di coinvolgere gli artisti in cui credo. L’obiettivo è rendere il brand una filosofia di vita”, anticipa.
Partiamo dal lavoro di A&R: tempo fa mi raccontavi di provini di ragazzi italiani con presentazioni scritte in inglese. Da un lato significa che stai lavorando bene, dall’altro la cosa fa un po’ sorridere.
“Probabilmente siamo così bravi da non sembrare nemmeno italiani. Anche se trovi scritto dappertutto ‘sui nostri socials’. Molte mail strizzano l’occhio al qualunquismo in maniera preoccupante. Il ragionamento più frequente è: mando qualsiasi cosa a chiunque. Vedo molti a cui non interessa fare le cose bene, ma farle e basta. Sono tutti uguali, come i panini dell’Autogrill: stesse foto, stessi vestiti, stesso taglio di capelli, stesse biografie, tutti supportati da qualcuno, ma poi guardi su 1001 tracklist e di loro non c’è traccia”.
Stai inquadrando una generazione, in pratica.
“Sì, una generazione di aspiranti fantocci, pronti a stappare lo champagne in console. C’è gente in grado di mandare la stessa traccia alla mia Total Freedom Recordings e di chiedermi su Facebook i voti per il talent pool di Spinnin’. Ti pare normale? Di contro, devo dire che a livello qualitativo non siamo messi così male. A parte qualche caso patologico, le produzioni dei ragazzi italiani non sono tutte da buttare. Certo, non parliamo di idee pazzesche, ma vi assicuro che dagli stranieri ricevo roba ben peggiore. E spesso si pongono pure male”.
Hai detto: “L’asticella della qualità si è alzata ed è difficile competere con le hit che arrivano da fuori. Non è una scusa, molti di noi sbagliano il tiro”. Quindi ti chiedo: chi secondo te sta lavorando bene e soprattutto qual è l’errore che continuiamo a fare?
“Gente come Cristian Marchi o Gabry Ponte ha il calendario pieno di serate. Qualcosa vorrà pur dire, no? Piacciano o no, sono dei progetti, dei brand: la loro identità e il loro percorso lavorativo si basa su scelte precise, come nel caso dei Vinai e Merk & Kremont. Soprattutto, hanno fatto qualcosa che ha colpito il pubblico. ll dj oggi è un’azienda. A differenza nostra, in Olanda dj come Curbi o Martin Garrix sono dei progetti già all’età di 16 anni!”.
Anche loro producono un sacco di musica brutta e non sono tutti dei grandi professionisti.
“Sicuramente sanno confezionare un prodotto meglio di noi. Spesso ci accontentiamo del compitino da 6: il disco è carino, entra in classifica su Beatport, qualche collega lo supporta, ma quella delle serate resta una speranza lontana. Evidentemente un meccanismo così spicciolo non funziona”.
Il fenomeno Spinnin’ si sta sgonfiando o durerà ancora?
“Compravo i loro vinili già 10 o 15 anni fa. Hanno avuto l’intuizione di proseguire sulla strada dei dj rockstar tracciata negli anni ‘90 da Gianfranco Bortolotti. In scuderia hanno solo dj che contano davvero. La base dei social network è fortissima, la credibilità presso i media pure. Questo vuol dire che a lanciare un disco e farlo arrivare a tutti ci mettono una decina di giorni. Se la canzone è valida, va avanti e diventa una hit. Spinnin’ è un impero, con mani e braccia ovunque. Non si sgonfierà nell’immediato. Ma se dovesse tornare davvero la House Music sarà difficile per loro creare dei nuovi Louie Vega, David Morales o Roger Sanchez. Questi sono dei talenti veri, che durano da 30 anni. Comunque c’è confusione. Sono tutti alla ricerca del suono nuovo. Che sicuramente non è quello della House in stile UMM. E nemmeno quello della Future House…”.
Insomma: se Spinnin’ Records è il McDonald’s, Total Freedom Recordings è un po’ una trattoria di provincia.
“Esatto: pochi piatti, scelti accuratamente e cucinati col cuore. Decido di pubblicare un disco solo se mentre lo ascolto penso: ‘Cazzo, vorrei suonarlo”. La label è la valigetta dei dischi che non ho mai avuto. Quella che riempi solo con le tracce che ti piacciono davvero”.
Dopo la Svezia e l’Olanda, chi vedi bene al prossimo giro nella dance?
“Non più di un anno fa, ti avrei indicato la Russia, visto il grande exploit di Arty. Ma la cosa sembra essersi dissolta in una bolla di sapone, forse anche a causa delle difficoltà geopolitiche. Gli olandesi sono un popolo eccezionale: precisi, disponibili, pronti a dare una possibilità a tutti. Anni fa curavo un programma dance in una radio locale, lo speaker andò in vacanza in Olanda, al ritorno mi raccontò che Tiesto aveva suonato in piazza per il Queen’s Day (la festa nazionale olandese, ndr) davanti a milioni di persone in un evento gratuito. Perché a Marco Carola o a Benny Benassi non viene data la possibilità di esibirsi nel giorno della nostra Festa della Repubblica?
L’Olanda sta vivendo una golden age simile ai nostri anni ’90?
“Sì. Vedremo se saranno bravi a farla durare. A costo di ripetermi, faccio notare che se torna davvero la House non avranno vita facile. Ci sono gli americani. Questo genere lo hanno inventato loro. Ce l’hanno nel sangue”.
Qualche volta il successo può diventare una rivincita?
“Direi proprio di sì. E’ divertente vedere come pseudo pr o piccoli haters, mai teneri con me sui social, arrivino ad ascoltare anche 16 volte di fila la stessa puntata del mio programma. O gli piace o sono talmente professionali nel criticare la gente che si documentano per bene. Tertium non datur”.
Nelle chiacchierate precedenti, parlando ovviamente di musica, spesso ti sei definito ‘un venditore porta a porta’.
“Già 20 anni fa, portavo a scuola le mie cassette mixate e facevo ascoltare agli amici canzoni e passaggi col walkman. Oggi, quando incontro la gente, dedico qualche minuto a spiegargli che ha già la mia musica gratis sullo smartphone. Fa la differenza (a quanto pare) il fatto che lo faccia col cuore, e che abbia sacrificato l’ultimo briciolo di tempo libero della mia vita per fare questo regalo settimanale a chi mi segue. Non ho agenzie specializzate alle spalle che montano lo show per me, nemmeno scagnozzi in studio che scaricano 200 promo a settimana. Come diceva Jovanotti: ‘Io ti offro verità, corpo anima e cervello’”.
Ti è pesato abbandonare le sonorità Trance e Progressive delle prime puntate di Total Freedom e avvicinarti al mondo dell’EDM prima e a quello della House poi? Così non si corre il rischio di diventare come gli altri?
“Total Freedom è nato con lo scopo di far ascoltare al pubblico quello che mi piace, senza pregiudizi, prima come podcast mensile mixato con la console tradizionale, e poi, vista la grande risposta, come radioshow settimanale. Ho sempre amato generi come la Trance e la Progressive, ma come dj non ho mai avvertito l’esigenza di sposare un solo un genere. Non propongo più tracce a 138 bpm, ma erano poche anche prima, a onor del vero… Il percorso, in queste 40 puntate, è stato naturale. Se un disco non mi piace non lo suono, quello che ascoltate l’ho scelto col cuore. E lo propongo orgogliosamente. Soprattutto per questo motivo, il mio show è diverso dagli altri”.
Oltre allo spazio riservato ai guest, come pensi di evolvere ancora Total Freedom?
“Porterò il marchio e il suono del programma nei locali, renderò il radioshow un live itinerante al quale, oltre al sottoscritto, parteciperanno gli artisti della mia label. Per scherzare, ogni tanto dico che mi piacerebbe vivere in un mondo davvero libero. Pensa se la gente prendesse decisioni e si rapportasse agli altri con la stessa sincerità con cui scelgo i dischi… Dopo le t-shirt, sono pronte le chiavette usb con dentro le puntate del radioshow e le uscite della label. La cosa bella è che se non ti piacciono, in totale libertà, puoi cancellare tutto e caricare le canzoni che vuoi”.
Quali sono i radioshow che fanno la differenza nel mondo?
“Ci sono due tipi di ascolti. Seguo Markus Schulz, Above & Beyond, Paul Oakenfold ed altri di quel filone perché mi fanno stare bene. E’ un ascolto intimo e personale, spesso al buio, di notte, quando resto sveglio per smaltire un po’ di burocrazia della label. O in macchina, quando faccio lunghi viaggi. Poi ci sono dei dj che mi piacciono, e ascolto i loro radioshow come se fosse una conversazione immaginaria, un po’ come quelle che un tempo avvenivano nei negozi di dischi con gli altri colleghi. Tra questi ci sono Gregor Salto, Chocolate Puma, Franky Rizardo, Don Diablo. Hardwell e Nicky Romero ultimamente un po’ meno, francamente mi hanno stancato. Pete Tong lo seguo, a volte mi viene da mandargli un tweet con scritto: ‘Oh, Pete, se superi i 120 bpm non ti fanno la multa, eh!’. Resta comunque un’icona nel nostro ambiente: il suo supporto, da solo, non vale il successo, ma lo vedo come il bollino blu sulla Chiquita.. Un marchio di qualità immaginario”.
Tra gli italiani chi segui?
“Provenzano Dj e Andrea Belli fanno un ottimo lavoro. Albertino fa quel che può, con le dovute limitazioni che ha spesso lamentato in recenti interviste. Senza scomodare gli anni ’90, il Deejay Time del weekend mi piaceva molto. La 50 Dance del sabato è sì in una fascia importante, ma un’ora a settimana non basta per trattare in maniera esaustiva la varietà del panorama club, che comunque lui prova ad offrire in maniera coraggiosa e competente. Sempre interessante Kunique su m2o. Anche Joe T Vannelli ce la metta tutta per dare visibilità a produzioni House di nicchia. Poi, tra m2o festival e 105 Indaklubb, c’è la possibilità di ascoltare una grossa varietà e qualità di musica dance. Non dimentichiamo che anche nei mitici anni ’90 i dj set andavano in onda nelle ore notturne”.
Si sente la mancanza di classifiche dance di riferimento o di programmi come 100% Rendimento e Suburbia?
“Negli ultimi 10 anni non abbiamo avuto tanta dance da classifica in circolazione, quindi la mancanza di una classifica dance si è sentita ben poco. Oggi le classifiche sono piene di dance, questo ai nostalgici dei tempi andati dovrebbe bastare. Programmi targhetizzati ce ne sono, hanno cambiato aspetto, sound e conduttori, come è giusto che sia. La misticità di quei programmi consisteva nel fatto che certe cose le ascoltavi solo li. Ora è svanita perché col web tutto è alla portata di tutti, quindi la bella musica la puoi ascoltare dove vuoi e quando vuoi”.
Pista o mainstream? E’ una questione di gusti o di mezzi, nella dance di oggi?
“People Hold On all’inizio è stata concepita per le discoteche, poi hanno iniziato a suonarla tutti ed è stata sdoganata ufficialmente, anche grazie al videoclip, supportato tantissimo da m2o Tv. Anche il recente “What U Playin’ At?” ha funzionato abbastanza. E’ entrato anche nella Top 20 di Beatport ed è stato anche suonato da una marea di big internazionali. Dopo 10 anni in studio di registrazione, mi sono rassegnato all’idea che se un disco è bello, arriva comunque alla gente, a prescindere dal genere. Lavorare su una traccia pensando di ricavarne una hit è il primo passo per un fallimento clamoroso”.
Te lo chiedo perché di tanto in tanto ti capita di lavorare con dei cantanti molto bravi, come Rodge o Mariske Hekkenberg per esempio…
“E’ divertente, ma bisogna rassegnarsi al fatto che per realizzare prodotti di stampo pop dance e sfondare nella musica, serve un team con delle palle esagonali, gente che non lavora con chiunque. E che costa tanto. Credo che gli unici veri geni in circolazione siano Calvin Harris e forse anche Zedd. Tutte le altre stelle del mixer hanno sicuramente un team di supporto. Anche se non lo andranno di certo a dire in giro”.
Lo scorso weekend eri a Bari per aprire i concerti di Vasco Rossi. Ora un bilancio possiamo farlo.
“Avevo già suonato per lui qualche anno fa, quando diede vita al Deejay Project al Cromie: fu un momento toccante, che purtroppo coincise con il ripresentarsi dei problemi di salute di cui tutti sappiamo. I fan di Vasco sono come lui: elettrici. Durante il set, mi sono sbizzarrito con i suoi classici rivisitati in chiave dance. Suonare per due ore di fila in un contesto del genere, senz’altro unico, e proporre anche parecchi inediti, è stato stimolante. Anche se con le dovute proporzioni, nella dance esiste solo un personaggio amato quanto Vasco. Ed è sicuramente Gigi D’Agostino”.
Un’ultima battuta sul Salento, dove si scaldano i motori per l’estate. So che sarai tra i protagonisti delle notti gallipoline.
“Oggi la residenza nelle discoteche più importanti di Gallipoli ha la stessa importanza di una residenza negli anni ’90 a Riccione o a Milano Marittima. Ma è ancora più importante dimostrare di saper fare qualcosa e non legare le fortune della propria carriera solo al nome di un club o alla popolarità della località turistica. Detto questo, alle istituzioni chiedo più mezzi pubblici e infrastrutture efficienti, che in molte parti della regione latitano. E che invece sarebbero di grande aiuto al turismo giovanile, a quello culturale e a quello enogastronomico 365 giorni l’anno”.
di Leonardo Filomeno – 08/06/15